Sono state settimane pesanti, spero siano alle spalle.
Ieri un tocco di leggerezza è venuto come una boccata d'aria fresca dalla Festa del Giappone che si organizza in città ormai da qualche anno, proprio nel giardino giapponese non molto lontano da casa mia. Mi ha offerto parecchi spunti e smosso ricordi, perciò sarà un post lunghetto, ma è tanto che non scrivo, imploro pietà!
Quest'anno ricorre il 470º anniversario dell'amicizia tra Portogallo e Giappone. Sbirciando qua e là tra i vari banchetti della festa ho avuto modo di approfondire certe cose sulla storia dei rapporti tra i due Paesi.
Dopo la conquista di Goa e Malacca (in India e Malesia) nel 1510, il Portogallo premeva lungo le coste cinesi per stabilire basi commerciali ed insediamenti che consolidassero le presenze portoghesi nelle Indie orientali. Nel 1543 il Portogallo fu il primo Paese europeo a raggiungere il Giappone, pare per caso, in balia delle correnti, per poi ottenere nel giro di qualche decennio la base di Nagasaki.
Nel frattempo, formalizzato anche l'insediamento a Macao avallato dalla dinastia Ming nel 1557, il commercio decollava, e floridi erano anche gli scambi culturali.
Apro una breve parentesi. Vorrei ricordare come ad esempio il té (in portoghese chá, che viene dall'assonante parola in mandarino) venne introdotto in Europa proprio dai portoghesi e raggiunse l'Inghilterra tramite la regina Catarina di Braganza che soleva intrattenere le cortigiane con la deliziosa ed esotica bevanda... onde evitare che spendessero quelle ore tutte col re Carlo II, noto dongiovanni.
Apro una breve parentesi. Vorrei ricordare come ad esempio il té (in portoghese chá, che viene dall'assonante parola in mandarino) venne introdotto in Europa proprio dai portoghesi e raggiunse l'Inghilterra tramite la regina Catarina di Braganza che soleva intrattenere le cortigiane con la deliziosa ed esotica bevanda... onde evitare che spendessero quelle ore tutte col re Carlo II, noto dongiovanni.
I rapporti commerciali col Giappone risultarono stretegici: il commercio con la Cina, essenziale per la sopravvivenza dell'arcipelago, era praticamente azzerato dall'embargo decretato ai giapponesi dopo ripetuti episodi di pirateria. I portoghesi arrivarono al momento giusto per proporsi come intermediari commerciali tra Giappone, Cina e Corea, dando inizio al cosiddetto "periodo del commercio Nanban" che andò avanti fino al 1641, anno della promulgazione del sakoku, ossia della chiusura delle frontiere che decretò l'espulsione degli europei dall'arcipelago, soprattutto per cercare di proteggerlo dall'opera di evangelizzazione cominciata proprio dai portoghesi, vista come una minaccia alla stabilità dello shogunato.
Nanban vuol dire barbaro meridionale: per i giapponesi i visitatori dovevano apparire davvero poco sofisticati; del resto i resoconti di Fernão Pinto, lo scrittore e viaggiatore portoghese che narrava le sue imprese nelle Indie, parlavano del Giappone come di una nazione ricca di bellezze e risorse naturali, abitata da uomini e donne di bell'aspetto, dai costumi sobri ma eleganti.
Così ecco spiegato perché, curiosando tra i banchetti dedicati ai dolci (ovvio!), m'imbatto nel Kasutela che è proprio il pão de ló, una specie di pandispagna, che i giapponesi usano mangiare col té.
Scopro poi che diverse parole ancora in uso hanno origine lusa, come ad esempio tempura (tempero, condimento), botan (botão, bottone), kappa (capa, impermeabile), koppu (copo, bicchiere). Curiosando invece tra i banchetti dedicati ai manga il mio occhio cade su un libricino e non ho potuto resistere, da oggi è qui con noi, il fumetto numero 7 di Carletto il principe dei mostri (Kaibutsu-kun).
E mi son venuti in mente Hiroki e Serina, la coppia di Tokyo con cui abbiamo diviso alcuni mesi nella prima casa in quel di Siena.
Lui era cantante lirico e si trovava in città per un corso all'Accademia musicale Chigiana, lei casalinga e approfittava della parentesi italiana per fare un corso di lingua.
Al loro arrivo ci riempirono di regalini: sottobicchieri di bambù, bacchette per mangiare, e poi durante il soggiorno ci regalarono il loro dvd de Il castello errante di Owl, bicchieri da vino, varie cartelline serigrafate con La grande onda di Hokusai.
Ricordo una serata passata insieme a vedere al pc un concerto di Hiroki che si cimentava con O' sole mio ed altre arie, tra l'altro con un'ottima pronuncia, frutto di grande applicazione; ricordo una volta che c'invitarono a cena e lei si struggeva dall'ansia perché temeva il nostro giudizio da italiani sulla cottura degli spaghetti (che per la cronaca, erano perfetti; meglio ancora il maiale cotto alla maniera giapponese che costituiva l'altro piatto). Il frigorifero era pieno di curiosi ed indecifrabili tubetti e bustine colorate, ed il té verde a tavola non mancava mai.
Conservo ancora tutto da qualche parte in Italia, nei miei scatoloni da nomade, insieme ai bigliettini in italiano che Serina e noi ci scambiavamo, sprezzanti della tecnologia del duemila, e che lasciavamo sul tavolo del soggiorno.
Quando se ne andarono gli regalammo un cesto di prodotti tipici delle nostre terre, -del genere soppressate e melanzane sott'olio- e Serina si trasformò di colpo in una fontana umana, emozionando tutti.
Non ho mai visto una persona commuoversi così davanti ad un regalo.
Chissà se un giorno li rivedremo mai.
Lisbona, cala la sera |
Fila per la sardina anche lì, gettiamo la spugna e ci rechiamo in un altro quartiere dove abbiamo potuto mangiare le nostre sardine in santa pace.
Beh, non proprio. Nel giro di due minuti siamo stati letteralmente assaliti da alcuni bambini del quartiere che ci hanno venduto di tutto.
E così anche quest'anno abbiamo il nostro manjerico, dopo che il primo anno m'era miseramente seccato il giorno dopo per averlo toccato (la leggenda vuole che non si debbano toccarne le foglioline).
Facciata adorna |
Oggi il basilichino è ancora bello verde e arzillo, promette bene.
Ottima descrizione, della festa, di Lisbona, delle persone.
ReplyDeletePrima o poi mi piacerebbe tornare in Portogallo.
Eh sì mr Ford, credo proprio che dovresti :)
DeleteLisbona tra l'altro cambia ad una velocità enorme, negli ultimi anni s'è dimostrata essere una città camaleontica!
Macché pietà e pietà, vedi di scrivere di più, invece! :-D
ReplyDeleteE cosa posso fare per spingere un po' di leggerezza dalla tua parte? Il Giappone ti ha già dato una bella mano, vedo... però... mumble mumble... augurarti un viaggio in mongolfiera? Una terma paradisiaca? O magari consigliarti un film (che tanto avrai già visto senz'altro)? Vediamo... un film che porta leggerezza... l'avrai visto senz'altro, ma se non l'hai visto provalo: Il barone di Munchausen di Terry Gilliam. Leggerezza assicurata!
Mongolfiera? Mica sono così temeraria, io?!
DeleteE no, quel film non l'ho mica visto. I Monthy Python mi piacciono a tratti, di Gilliam ho visto poco (ti confesso che Brazil non l'ho mai finito, è sempre stato difficile da seguire per me), credo proprio che ascolterò il tuo consiglio, il buon Gilliam merita altre chance da parte mia.
Tra l'altro sono in un periodo di stand by a livello cinematografico, mi tocca riprendere.
Grazie del consiglio!
Non hai idea! Il Barone era il mio film preferito da piccola!!! Vedilo please! :* mi faccio dare la tua mail da Ford e ti scrivo, posso?
DeleteOra son troppo curiosa, provvederò a gillianizzarmi :)
DeleteCerto che mi puoi scrivere, non c'è neanche da chiedere!
Ciao Julezzzz!
Ecco: io sabato ho mangiato in un ristorante ( su un grattacielo qui a Londra... Carissimo) una cucina mix tra giapponese, brasiliano e peruviano da quel che ho capito... Quindi i giapponesi di sono spinti anche in America latina a quanto pare, sarà stata complice la lingua portoghese?
ReplyDeleteUhm...che cucina fusion!
DeleteTra l'altro ho provato dei piatti peruviani niente male, sono sorprendentemente freschi e leggeri (uno maagri identifica la cucina sudamericana con quella messicana, argentina, brasiliana e non è che proprio si faccia un'idea di freschezza, ecco).
Ma non credo che i giapponesi fossero dei gran navigatori :)
Quanto mi piace leggerti. Dovresti scrivere di più, più spesso.
ReplyDeleteA San Paolo, in Brasile, esiste la comunità giapponese più grande, fuori dal loro paese. Anche nella mia città è molto visibile questa etnia, nonostante sia talmente integrata da non rispettare molto ormai, i propri usi e costumi.
Che adoro la loro cucina non c'entra granché, ma lo dico lo stesso!!
Spero che questa settimana sia per te più leggera.
È che mi manca l'energia per scrivere. Ossia, quel che mi resta mi serve per fare cose strettamente vitali :)
DeleteAnche a me piace la cucina giapponese, non il sushi però, che trovo assolutamente inutile! Ma forse solo perché il sushi che gira in Europa non è degno di tal nome...comunque davvero non capisco la sushi mania che è esplosa.
Bentornata! E' sempre bello leggerti...dilungati pure quanto vuoi e scrivi, scrivi e ancora scrivi che è terapeutico! E quanto sono belle le case e le viuzze di Lisbona! Spero di tornarci un giorno..
ReplyDeleteSì, è bello scrivere...quando hai qualcosa da dire :)
DeleteGrazie Fede.
E chissà davvero tu non possa tornare e vedere cos'è cambiato nel frattempo e cosa invece è restato uguale.
Che bello leggerti così...sembra di essere li tra odori, sapori, luci e gente diversa che si aggrega, si unisce. Belle le immagini e la voglia di te di scoprire di nuovo le tinte della vita.
ReplyDeleteRaffaella
Sigh, avrei voluto assaporare di più, diciamo, ma c'erano file ovunque :)
DeleteGrazie Raffaella.
che bello da leggere e rileggere, sopratutto la parte finale - scusa se io tra storia e mangiare vado a intrigarmi col mangiare ovviamente! ma colin adorerebbe la parte precedente, stasera mi ha proposto di guardare una serie tv su due spie del kgb negli anni 60 in america. comunque lisbona e' troppo bella in questi vicoli di pescetti e dolcetti, io devo venire. cosi' mangiamo e non pensiamo a queste settimane pesanti.
ReplyDeletePure io m'intrigo col mangiare come ben sai, solo per non essere monotematica allora ci ho infilato il Giappone :)
DeleteNo dai, m'intriga anche altro, non tanto ultimamente a dire il vero, ma si tira a campa'.
Eh sì, devi venire...a mangiare e non solo!
Ps com'era la serie sulle spie? Io m'immagino due palle colossali, ma magari era...intrigante. C'erano anche immagini di spie russe emigrate che si cucinavano la borsch a New York?
A leggere i tuoi post imparo sempre qualcosa :) Dalle mie parti, i camici, si chiamano cappe e ricordo di aver scoperto che fosse un'espressione dialettale solo quando mi trasferii a vivere a Firenze. Che sia legata al portoghese pure quella?
ReplyDeleteMancano anche a me gli amici giapponesi che ho conosciuto negli anni, anche nell'era di fb non riesco più a rintracciarli, avrei dovuto continuare a scrivere lettere cartacee invece di affidarmi alle email :(
Tifo per la sopravvivenza della piantina! :)
Che poi a Firenze (e in tutta la Toscana) parlano una lingua tutta loro, non mi dire che ti hanno ripresa sulle cappe :D
Deleteche bel post! *.*
ReplyDeleteottima scelta Carletto il principe dei mostri :D
Maledetto blogger che non mi notifica i commenti via mail.
DeleteCarletto è meraviglioso, ed anche i suoi mostri!