31/12/2011

Con la testa per aria: Insegne di Lisbona

Mi sono accorta che ogni volta che esco di casa con la macchina fotografica in borsa mi ritrovo inevitabilmente a fotografare, tra le varie cose, le insegne dei negozi e dei locali in cui m'imbatto. 
E allora ho pensato che le raccoglierò nel blog: inauguro pertanto ufficialmente la rubrica "Con la testa per aria". 
Lisbona è conosciuta ovunque per le piastrelle di cui è tappezzata (gli azulejos, che prima o poi vi mostrerò, perché davvero ve ne sono di bellissimi ed è possibile ripercorrere le varie epoche della città osservandoli). Ma non meno interessanti e curiose a mio avviso sono le insegne di cui vi parlo. La creatività, l'arte della città si esprime anche attraverso di esse: sono un punto imprescindibile del design alfacinho, cioè dell'alface, ossia della lattuga, di Lisbona: infatti, se New York è The Big Apple, Lisbona è A Grande Alface -la grande lattuga-; interrogati, alcuni alfacinhos non mi hanno saputo spiegare i motivi di quest'associazione. Io immagino c'entri la forma, perché nel lattugone vengono inclusi tutti i sobborghi che si estendono ad anello attorno alla città, ma sono solo mie supposizioni. 

Comunque, dicevo, insegne imprescindibili. E' divertentissimo vederle, guardarle e fotografarle. I gestori dei  relativi negozi, quando se ne accorgono, mi scrutano incuriositi, ma lasciano fare, e ieri mi è capitato che un tipo che passava in macchina nel punto in cui m'ero appostata per scattare mi chiedesse "Vuole fare una foto anche a me?". No, grazie, grazie, non sapendo che dire e puntando alle scritte colorate di fronte.
Nella categoria andrebbero individuati dei sottogruppi, e vediamo se riesco nell'intento di catalogarli. A modo mio, ovviamente.

I parrucchieri: ve ne sono un numero infinito, alcuni con saloni davvero retrò: ce n'è per tutti i gusti e per tutte le tasche. Quest'insegna, oltre a custodire un posto pieno di cimeli d'epoca, contiene anche una L di troppo.



Dell'insieme degli "outsiders" fanno parte insegne uniche nel loro genere. Questa ad esempio è posta in cima ad un negozio molto antico che vende abiti di fattura artigianale.



Poi ci sono quelle "fatte a mano". La prima consiste nella pubblicità di una marca di caffè recante la scritta a mano del nome del ristorante "Il mio diamante". Pochissimi carati, ma sempre diamante.


Quest'altra è di uno dei miei posti preferiti (ne parlerò prima o poi). Una tasca, traducibile con osteria, ma non gli rende affatto giustizia, Tolan (presumo il cognome del proprietario? non ne sono certa, anzi, direi di no, perché nel menù diventa ToLLan e spero che almeno loro sappiano come si chiamano con certezza). Dopo il barbiere, pare proprio che la doppia L costituisca un problema da queste parti.



Un'altra che parrebbe fatta a mano, ma con un certo stile, e mi pare comunque storica. Chissà quante birre e neve avrà servito! (cerveja e neve, un'accoppiata misteriosa).


Della categoria delle spiritose, ecco "La vedova allegra"  (Dead stocks inc., per non sbagliarsi!).
E' un magazzino che vende abiti e oggettistica svariata.



To be continued...



24/12/2011

Aeroporti, ovvero terre di nessuno. Part I: in madrepatria

Aria di partenze ovunque: a lavoro, nella casella di mail, nelle strade intasate, nella blogosfera. Invece io per queste feste me ne resto qua, invoco una specie di legge del contrappasso personalizzata e mi metto a parlare di aeroporti. Così approfitto per farmi un viaggio..mentale.

Scena tratta da "Airplane!/L'aereo più pazzo del mondo"

Gli aeroporti sono per me un non-luogo per eccellenza, checché se ne dica sulla funzionalità e sull'integrazione col mondo esterno "reale". Entrare in aeroporto significa stare sospesi aspettando che arrivi il tuo turno, mentre ormai non sei nè di là nè di qua. Aspettare.
Fortuna che solitamente io calibro abbastanza bene gli orari per cercare di non dover attendere ore interminabili; tuttavia spesso capita di dover prendere coincidenze, ed a volte si tratta di attese lunghe mezza giornata.
E lì scatta l' insofferenza. Perché io, in aeroporto, non riesco né a leggere, né a scrivere, né a guardare un film. Al massimo posso ascoltare un po' di musica e dedicarmi ad uno dei miei hobbies preferiti: osservare fauna e habitat locali. Qualche volta ci scappa un mal di fegato, altre volte, quando sono in vena di ironie, anche qualche bella risata.
Inizio dunque la carrellata con gli aeroporti in cui sono stata su suolo italico. Da nord a sud, ne ho girati diversi: eccoli secondo me.

Roma Fiumicino ha tutte le sembianze di un ufficio INPS anni '70: se hai la disgrazia di partire in estate morirai di afa tra quelle mura e quei pavimenti plasticosi; è labirintico, sali, scendi, esci all'aria aperta, rientra, manco fosse una seduta di fitness. Non comunicano i cambi del gate dell'ultimo minuto (!) -e fanno spallucce se glielo fai notare cercando di mantenere la calma-, le suddette pareti plasticose sono adornate inutilmente da telefoni che dovrebbero essere collegati a numeri che forniscono informazioni, i baristi sbuffano impunemente alla richiesta dell'ennesimo maritozzo, e ciliegina sulla torta, è dotato dell'ottimo servizio di connessione con Roma centro consistente di due linee di treni: una, carissima ma diretta e decente, l'altra sì più accessibile ma, siccome prevede fermate intermedie in periferie desolate, diventa scenario di scippi e furti continui (la sottoscritta ne sa qualcosa).  Infatti al comune di Fiumicino hanno ben pensato di aprire uno sportello che emette carte d'identità express per i poveri malcapitati che devono prendere l'aereo. Lo so, sembra una presa per i fondelli. Lo è. Vintage.
Roma Ciampino: aeroporto nel mezzo del nulla, cioè della città di Ciampino, specialmente in estate quando si desertifica. Nelle notti di luna piena potresti anche iniziare ad ululare se ti trovi da quelle parti. Mejo de gnente.
Napoli Capodichino: la più grossa città del sud è dotata di un aeroporto ridicolo ed inadeguato, sia per struttura che per tratte in servizio. I gate sembrano la sala d'attesa del medico di famiglia (più volte ho avuto l'istinto di cercare il numerino che segnava il mio turno); se hai la fortuna di essere con qualcuno, puoi approfittare e fargli tenere la fila (pardon, quell'ammasso di gente alla rinfusa) e acquistare un ultimo souvenir presso i negozietti di mozzarelle di bufala presenti.
Oppure spruzzarsi a sbafo di acque coloniali della costiera, profumatissime, ricercatissime, carissime, un po' stridenti col tono dimesso del resto per la verità...ma vuoi mettere sapere di limone di Amalfi in sala d'attesa? Sciuè sciuè.
Bari, Brindisi, Alghero sono scali assolutamente anonimi, come molti degli aeroporti minori costruiti in Italia e diventati preda delle compagnie low cost (di cui sono assidua cliente trovando spesso ottime offerte). Sono scandalosamente isolati dal centro delle rispettive città; beh, se chiamate collegamenti degli autobus che passano ogni ora e che ci mettono 40 minuti per fare un tragitto che in macchina ne richiede 5, allora non avrete quasi nulla da ridire. Brutti ed impossibili. 
Milano Orio al SerioLinate e Malpensa: Orio al Serio, oltre ad essere particolarmente brutto, al punto di sembrare in alcune zone ancora in fase di completamento -della serie fili che escono alla rinfusa dai soffitti e pannelli in bilico- s'ammanta di poesia specie quando negli immensi campi attorno i contadini bergamaschi ci danno di letame.
Linate è comodo da raggiungere ed offre anche buone possibilità di parcheggio per chi dovesse arrivare in auto. Purtroppo è stato molto penalizzato da scelte politiche discutibili che sono andate appannaggio di Malpensa. Quest' ultimo dovrebbe essere la punta di diamante del traffico aereo del nord Italia, ma è davvero un hub deprimente (io però sono più pratica del terminal 2). E non è concepibile metterci tre quarti d'ora dall'uscita dell'aereo all'uscita dall'aeroporto (senza dover recuperare bagagli!). Una volta di notte per questo difetto non trascurabile stavo per perdere l'ultimo collegamento con la stazione centrale: mentre correvo sul tapis roulant m'immaginavo già spettralmente vagante tra un gate e l'altro fino all'alba. Si mettessero d'accordo.
Pisa e Firenze: il primo è vicinissimo alla stazione ferroviaria, con la quale è collegato da un buon servizio di treni.  Offre connessioni con molte città europee e persino con New York tramite volo diretto. A causa delle ridotte dimensioni è quasi sempre sovraffollato, tuttavia è uno scalo importante e comodo da raggiungere. Per quanto riguarda Firenze, lo dico sempre: la città ha dato il massimo nel '400 a livello edilizio: ora non si può pretendere molto dai suoi architetti ed ingegneri.
Ed anche a logistica non mi pare siano messi meglio: pochi voli, scalo minuscolo. Con un aeroporto internazionale come quello di Pisa a meno di un'ora di distanza ho il sospetto che sia in piedi solo per motivi politici. Non sarebbe mica l'unico, comunque. Storico derby, avanzano i pisani.
Bologna e Torino: li metto insieme perché sono aeroporti a misura d'uomo e funzionali, anche se non forniti di tantissime tratte, ma in espansione. Unica pecca, le esose richieste dei tassisti per accompagnarvici (molto meglio sfruttare gli autobus che passano dal centro). Non proprio delle gran bazze.

E mentre sento atterrare e decollare aerei sui cieli di Lisbona, termino qua il mio viaggio virtuale, e comincio a pensare a cosa comincerà a bollire in pentola tra qualche ora...
Buone partenze ed arrivi a tutti!




19/12/2011

Baccalà con gamberi e carote - Bacalhau com camarão e cenoura

Qui il bacalhau (da pronunciarsi bacagliau), o come simpaticamente dicono gli italiani in viaggio in terra  lusitana "baccalau", si sa, è una pietanza diffusissima. Esistono interi negozi specializzati nella vendita, e ne esistono di tutte le forme e di tutti i modi: salato, ammollato, desfiado, a pezzi, a pezzettini, intero che viene segato al momento dell'acquisto con apposite seghette elettriche.. e chi più ne ha più ne metta. 
L'odore presente nei negozi in zona baccalau spesso è forte, ma bisogna dire che una volta finito nel piatto è delizioso, nonchè molto diverso da quello che gira in Italia (più tenero, non stopposo, non colloso e non salato -certo, la quantità di sale residua dipende dalla procedura di ammollo). 



I miei amici che mi son venuti a trovare che l'hanno assaggiato anche storcendo il naso inizialmente ne sono rimasti piacevolmente stupiti.
Si dice che furono i navigatori coi loro marinai nel '500 che solcavano le acqua atlantiche del nord a cominciare a pescarlo e a metterlo sotto sale per le provvigioni di viaggio. Comunque sia, da allora il suo consumo è rimasto intatto, e attualmente il Portogallo è il maggior importatore di baccalà norvegese al mondo, ed esistono millemila modi di prepararlo (persino sulla brace). 
Una maniera tipica è di utlizzarlo per cucinare dei gustosi sformati; per quello che ho fatto io ci vogliono:

400 gr di baccalà ammollato 
3 patate medie
30 gr burro
mezzo bicchiere di latte
1 carota  grande
200 gr gamberi sgusciati
sale, pepe, olio
1 cipolla
alloro, prezzemolo, formaggio vaccino grattugiato e un pugno di pangrattato

Cuocete il baccalà con due foglie di alloro, scolatelo, toglietegli le spine e riducetelo a pezzetti (l'alloro a questo punto non serve più). Fatelo insaporire in un po' di olio e cipolla e aggiustate di pepe.
Intanto cuocete le patate e passatele, poi aggiungete il burro e il latte mescolando bene fino ad ottenere una crema.
In una padellina fate saltare 2 minuti i gamberi sgusciati con un filo di olio, sale, una spruzzata di vino bianco e prezzemolo. Grattugiate la carota e mescolate tutti gli ingredienti, come per fare un timballo. Ricoprite la superficie con formaggio grattugiato e pangrattato e mettete in forno a 180° per 20 minuti circa (la superficie deve dorarsi). 
Più facile da farsi che da dirsi!





E curiosamente oggi a lavoro ho appreso che in maniera del tutto informale e scherzosa due portoghesi che si conoscono bene quando si incontrano si salutano a volte dicendo "Bacalhau!"

12/12/2011

La stella di Hermes

Figlio di Zeus e della ninfa Maia, Hermes, messaggero degli dei -già protettore dei pastori- ha dato il nome alla catena montuosa più alta del Portogallo, conosciuta come Montes Herminios. Ma più comunemente come Serra da Estrela (montagna della stella). Il perché lo dicono le leggende.
C'era una volta un giovane pastore che viveva in un paesino di montagna solo col suo cagnolino. Il suo desiderio più grande era raggiungere le vette di un monte che poteva vedere solo da lontano, che erano il suo orizzonte fin da quando era nato. Una volta aveva sognato che una stella s'era offerta per guidarlo fino alle vette tanto desiderate; alché, svegliatosi, la cercò nel cielo, e la vide, la sua stella, ed era più la bella e la più brillante di tutte. Diventarono amici.
Una notte il pastore si decise a partire verso il suo sogno, lui, col suo cane, la speranza e la sua stella. Ad andare incontro alla fame, al freddo della morte, a spingersi su distanze che nessuno aveva mai osato.
E camminò a lungo, attraversando valli glaciali, fiumi, rocce, prati verdi in estate, gialli d'autunno, bianchi di neve in inverno... 




Perse sulla strada il suo cagnolino, la sua gioventù, la vita passò camminando, finché giunse sulla vetta più alta, la vetta dei suoi sogni, della vita, che era già vecchio, ma avendo placato la sete. Da lassù l'orizzonte era vasto e meraviglioso, ed il pastore si fermò lì, con la sua stella in cielo a fargli compagnia, sua unica amica. Da quella volta ogni notte c'è una stella che brilla più delle altre sopra i tetti della Serra da Estrela. 

Una stella che ha brillato per un po' anche sulla mia testa incredula.





Arrivando a Piódão la vista è mozzafiato: quella casette scure con le finestre e le porte blu e bianche si intagliano  sullo sfondo marrone rosso e giallo dei terrazzamenti delle montagne intorno. Mi sembra di stare in un quadro di Schiele, e non voglio più uscirne!  Tutto qui è fatto di xisto, una pietra laminata molto particolare che sui tetti pare proprio corteccia.



Belmonte è un paesino sperduto nel cuore della regione storica della Beira. Una luce gialla e abbagliante ci accoglie, e tra le viuzze medievali e alcuni gatti sonnacchiosi e vanitosissimi (guardavano  dritto nell'obiettivo della mia macchina) scopro che qui si rifugiarono nel '500 gli ebrei provenienti dalla penisola iberica che, dopo la Reconquista, non avevano accettato di convertirsi al cristianesimo nè di fuggire da quei luoghi. Scelsero pertanto una via alternativa: si stabilirono là nel completo anonimato, in quel paesino fuori dal mondo, isolato, mantenendo i loro riti e la loro religione ma senza avere nessun contatto con Israele (l'ebraismo di Belmonte è stato ufficializzato solo negli anni '70).



Il 1500 dev'essere stato un secolo speciale da quelle parti. Di questa terra era infatti originario Pedro Alvares Cabral, considerato lo scopritore del Brasile. E ancora una volta il Brasile s'insinua, persino tra i comignoli fumosi dei tetti di Belmonte e del suo Pelourinho (istituto medievale dove erano annunciate le direttive del comune). Pelourinho...il quartiere storico di Salvador de Bahia. 
Queste facciate coloratissime, così diverse dalle casine di pietra del quartiere ebraico, sotto la luce intensa di un pomeriggio di Dicembre mi riportano proprio a Salvador.




La gente di questi luoghi e' simpaticissima, alla mano, generosa come solo la gente di paese sa essere.
E poi..si rivolgevano a noi in italiano e non in spagnolo (cosa che accade comunemente a Lisbona). Ciao, buonanotte, arrivederci, come stai, sei italiano? e all'ennesimo "Buon appetito!" ho capito..in realta' ce lo ha raccontato un avventore del locale dove abbiamo cenato, il quale e' stato felicissimo di parlare un po' italiano dopo tanto tempo, quella lingua che aveva appreso dai suoi amici italiani durante i lunghi anni passati a lavorare in Lussemburgo. Storie di migranti che tornano. 

Tempo di tornare anche per me. Ma dalla finestra della mia stanza mi godo un'ultima volta il mio presepe.




03/12/2011

Il licor Beirão, Sarkozy e le luci di Natale

La curiosa pubblicità natalizia del liquore Beirão (un digestivo al sapore di liquirizia ed anice diffusissimo qua) in cui mi sono imbattuta alla fermata del tram ritrae una caricatura composta di Sarkozy che ne regge in mano compiaciuto una bottiglia mentre la didascalia dice "Caro Nicolas, il Portogallo sta facendo del suo meglio". Poi continua incitando i consumatori a regalare prodotti nazionali per Natale. E ho scoperto che ne esiste anche una versione, identica, con la Merkel ..non poteva di certo mancare anche lei!
Una maniera per sdrammatizzare un po' la situazione attuale non propriamente felice dell'economia portoghese.




Eh già, Natale si avvicina e la crisi detta anche la pubblicità e la sobrietà dei decori festivi: quest'anno ancora niente luci per le strade, niente addobbi, niente albero gigante.
Il nuovo premier Coelho, eletto a Giugno dopo le dimissioni di Socrates, sta mettendo in atto un piano di misure di austerity molto pesante: ad esempio, hanno fatto molto discutere i sostanziosi tagli ai salari ed alle pensioni dei dipendenti pubblici, politici compresi, ed i prelievi forzati alla tredicesima e alla quattordicesima per chi percepisce un salario superiore al minimo (che non arriva a 500 euro). La crisi ha allargato ancora di piu' la forbice tra ceti abbienti e non, facendo assottigliare -se non addirittura sparire- la classe media, già scarsamente rappresentata in Portogallo (cosa che ho notato subito e che mi ha colpito quando sono arrivata a Lisbona).


Per Giovedì 24 Novembre era stato indetto lo sciopero generale dei lavoratori; tra i sindacati, quelli dei lavoratori nel settore dei trasporti pubblici sono stati i più compatti, provocando forti disagi alla mobilità. I prezzi dei biglietti di tram, autobus, metro e treno metropolitano sono aumentati in pochi mesi in molti casi del 40%  e presto alcune linee verranno soppresse a scapito ovviamente delle zone più periferiche.

Tuttavia, come sempre succede, fioriscono alcune attività che riescono a trarre vantaggio da questa situazione: oltre ai negozi che acquistano oro e gioielli ad un prezzo molto inferiore a quello di mercato (attualmente l'oro è alle stelle), proliferano i call center, detti più elegantemente uffici di customer service, di cui Lisbona è piena.
Ormai moltissime multinazionali trasferiscono qui questo tipo di attività perché, pur rimanendo in Europa, il costo del lavoro è bassissimo. Parlo di colossi come Google, Microsoft, Apple, Siemens, Fujitsu, solo per citarne alcuni.
In questi posti vengono assunti impiegati da tutta Europa, per cui se per esempio qualcuno chiama dall'Italia la Microsoft perché gli si è inceppato il sistema operativo, sta in realtà chiamando un italiano a Lisbona che lavora 8 ore al dì per pochi euro (e pochissima gloria). E le aziende che si occupano di customer service a Lisbona hanno utili altissimi e si espandono a vista d'occhio in periodi di ristrettezze e di tagli aziendali. Mors tua...
Insomma, il 2012 si prospetta un anno molto duro da queste parti.

Mi piace però in questo momento chiudere con un lampo di leggerezza, come ho iniziato, e perché no, di speranza. E lo spunto, ancora una volta, mi viene dalla città martoriata dalla crisi. Mi auguro davvero che tempi come questi servano per capire dove si è sbagliato e per provare a ripartire avendo conosciuto cosa vuol dire il peggio, che nei proverbi deve sempre ancora venire, mentre nella realtà ti sorprende anche quando era stato annunciato.
Camminando per Rua do século leggo, affisso alla porta di una galleria di arte che espone pezzi da collezionismo di giocattoli:



"Contro la crisi serve ottimismo. [...] In tempo di crisi l'arte è necessaria [...] Per superare la crisi serve passione!"
Meno male che ogni tanto c'è qualcuno che ci tiene a ricordarcelo.


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