28/03/2012

Menù di ieri: la giornata mondiale del teatro.

Ieri decorreva la 50esima giornata mondiale del teatro. Per l'occasione molti teatri in città erano ad entrata gratuita.
Io ero uscita da lavoro tardi e mi godevo l'aria primaverile, quando ad un certo punto vedo giungere un'allegra compagine di ragazzi e ragazze festanti e vestiti in maniera divertente. 


Non avevo la macchina fotografica, perciò mi sono adoprata con l'intonsa funzione del mio cellulare.
Abbiate pietà per la qualità...

Si sono messi davanti a noi e hanno iniziato a cantare ed a recitare dei piccoli pezzi, per poi distribuire dei volantini con un messaggio di John Malkovich, invitato dall' International Theatre Institute a fare un discorso commemorativo.
Il messaggio di John (il quale, per inciso, ha un ristorante proprio qui in città, che sorge nella zona portuale dove prima c'era una fabbrica di navi), augura che il lavoro di "voi compagni di teatro possa aiutarci a riflettere su cosa vuol dire essere uomini, e che questa riflessione sia guidata dal cuore, dalla sincerità, dal candore e dallo charme. E che ciò che di meglio abita in voi possa rispondere -sebbene solo in alcuni brevi e rari istanti- alla domanda fondamentale: com'è che viviamo?"

Ecco, io credo che questa ricerca vada fatta sempre, anche se spesso ce ne dimentichiamo, o non ci badiamo, presi da altre piccole cose.
E soprattutto, con una sana dose di autoironia, di spirito, perché a prendersi troppo sul serio si finisce per non piacersi nemmeno un po'.

Quindi ricordo a tale proposito un grande del teatro e del cinema italiano. Uno dei più bravi di sempre, in una delle puntate della rubrica "Vittorio Gassman legge" che andava in onda all'interno della trasmissione televisiva "Avanzi", quando la stagione televisiva era certamente più felice di quella di oggi. Eccolo, Vittorio Gassman che legge il menù. 









25/03/2012

Ciao Tabucchi

A te che hai amato questo paese e questa città in maniera viscerale e che ci hai fatto conoscere i mondi interiori di Pessoa.
A te che hai descritto la saudade meglio di chiunque altro:

"È proprio per questo che allontanandovi di pochi metri siete venuti in Rua da Saudade. Perchè dall’alto di questa piccola strada lo sguardo abbraccia tutta la città e l’enorme foce del Tago. E poco più avanti l’oceano, e l’infinito orizzonte. [...] Lì da soli, guardando questo panorama davanti a voi, forse vi prenderà una sorta di struggimento. La vostra immaginazione, facendo uno sgambetto al tempo, vi farà pensare che una volta tornati a casa e alle vostre abitudini vi prenderà la nostalgia di un momento privilegiato della vostra vita in cui eravate in una bellissima e solitaria viuzza di Lisbona a guardare un panorama struggente. 
Ecco, il gioco è fatto: state avendo nostalgia del momento che state vivendo in questo momento. È una nostalgia del futuro. Avete sperimentato di persona la saudade."
(Da "Viaggi e altri viaggi", 2010 ed. Feltrinelli)




A te che tramite Pereira, ed uno splendido Mastroianni che di lui s'innamorò, mi hai parlato di Praça da Alegria ben prima che ci alloggiassi per puro caso nella mia prima volta a Lisbona, quando non potevo mai immaginare che un giorno ci sarei tornata per viverci.





Hai visto? Per te oggi Lisbona sfavillava.





24/03/2012

La mia casa è dove sono: Bologna-Firenze e ritorno.

Gli ultimi dieci giorni sono molto movimentati da queste parti. 
Per motivi di lavoro ho dovuto organizzare in fretta e furia una capatina in Italia e precisamente a Firenze, con aereo  che atterrava e ripartiva da Bologna. 
In questa città ho trascorso gli anni unici dell'Università e ho molti amici meravigliosi; a Firenze non ci ho mai vissuto, ma un tempo (che mi pare un secolo fa) ero a due passi in quel di Siena, tra colline e casolari lussuriosi di verde. 
E proprio a Firenze ci sono altre due mie amiche: una con cui ho condiviso per molto tempo chilometri di portici bolognesi, e un'altra che ora ci vive, serbando nel cuore l'odore ed il colore di Lisbona, dove l'ho fortunatamente conosciuta.
Sono stati giorni intensi di lavoro proficuo, di fatica, ma anche di emozioni.
Nel rivedere certi luoghi m'è sembrato di non averli lasciati mai. Del resto come potrebbe essere diversamente, quando si è certi luoghi?





Al mio arrivo alla stazione di Bologna un mio amico mi è venuto a salutare portando il pranzo prodotto con le sue manine: scaccia ragusana al sugo e formaggio. Buonissima! 
Per la cronaca, al ritorno una provola ragusana è finita anche nella mia valigia.




Indovina cosa ti cucino: un delizioso foglietto con elenco degli ingredienti stilato appositamente per una cena fiorentina in mio onore!

Indovinate se ho indovinato...
E comunque...come mai tutti mi prendono per la gola?!


Firenze, il panorama tipico visto dal posto in cui mi trovavo. Quante scorazzate per quelle colline mi sono venute in mente tutte insieme! 
E poi la pausa pranzo in una Casa del Popolo, di quelle che andavano negli anni '70 e che ancora si trovano in Emilia e in Toscana.
Quelle della  tombola e del famoso dibattito di "Berlinguer ti voglio bene".















Stazione di Bologna: il rientro si avvicina. L'ultima sera in pizzeria per salutare tutti (in centro, per "le strade della mia vita"), con arancia buonissima direttamente dagli alberi di un amico che se le fa mandare dalla Sicilia e un Amaro del Capo che mette a posto tutta la stanchezza  residua.  




I rassicuranti portici bolognesi: quanti segreti sanno custodire, quante storie potrebbero raccontare...

                                                         



Poi, di già, il tempo di tornare. 




Outra vez te revejo, Lisboa e Tejo e tudo-,
transeunte inútil de ti e de mim,
estrangeiro aqui como em toda a parte,
casual na vida como na alma,
fantasma a errar em salas de recordações,
ao ruído dos ratos e das tábuas que rangem
no castelo maldito de ter que viver...

Lisboa Revisitada, Álvaro de Campos (F Pessoa).
(Qui  trovate quest'ultimo pezzo in una traduzione di A. Tabucchi).




La vista del Tejo in un pomeriggio caldo e azzurro mentre trascino a stento le valigie negli ultimi metri verso casa.







12/03/2012

Io e le mie tasche

Nonostante l'aria di nuovo avanzi e compaiano come funghi locali che ricordano molto i café del nord Europa e gli spazi polifunzionali dove poter non solo mangiare, ma anche leggere ed ascoltare musica, la "Tasca",  una specie di osteria -solitamente a conduzione familiare- resta un'istituzione imprescindibile della città e di tutto il Paese. 
Entrare in una tasca vuol dire entrare in un mondo fatto di sedie, tavoli e mattonelle autenticamente vintage, ossia significa calarsi direttamente in posti che somigliano a quelle vecchie osterie che da noi popolavano le sere e le notti degli anni '60 e '70. La cucina consiste di piatti semplici, preparati proprio come in casa, e spesso la Dona cuoca la si può davvero vedere destreggiarsi tra pentole e stoviglie, tra una patata fritta e un bicchiere di vino versato all'avventore affezionato che viene a bere in compagnia. 




In questi posti pare proprio di mangiare in casa, ed inoltre, come potrete immaginare, sono super economici. Di solito fuori è esposto il menù coi piatti del giorno e relativi prezzi, e normalmente conviene prendere quelli, perché sono sicuramente più freschi, ovvero fatti il giorno stesso.
La prima volta che sono stata a Lisbona vari anni fa non potevo credere ai miei occhi. Comunque il menù (rigorosamente scritto a mano o, per i più evoluti, con una stilosissima macchina da scrivere) parla chiaro, come potete vedere. 







Certo, quelle proprio stile "bettola" stanno pian piano sparendo, anche se resistono i veterani che spandono profumini di fritto nel raggio di cento metri: insomma, solitamente non abbiamo a che fare con posti per stomaci deboli, ecco.
Gli interni come dicevo sono in perfetto stile originale anni '60 e '70; i complementi d'arredo possono variare molto, ma spesso trovo sedie che mi ricordano quelle di mia nonna di quando ero bambina. Niente a che vedere coi locali vintage che pure mi piacciono tanto, ma che sono delle operazioni di stile e di moda attuale: qui facciamo proprio un vero salto nel passato.





















Vi sono elementi comuni a tutte le tasche: fornellino ammazzainsetto, televisore rigorosamente vecchio stampo (di quelli che mi ricordo io, per inciso...), solitamente sintonizzato su una partita di calcio, e quindi gagliardetti vari della squadra del cuore.







Normalmente ci sarà un tavolo allestito per i componenti della famiglia, che, a seconda dell'età, scorazzeranno nel locale o siederanno più compostamente per consumare il loro pasto.
E' insomma sempre come se fosse Domenica.

Passiamo alla parte che a noi panze curiose interessa di più. Cosa si mangia insomma in queste bettole?
Il classico dei classici è la sardina arrosto, ma solo in estate, quando il sacro pesce abbonda nelle acque oceaniche ed è grasso al punto giusto da risultare squisito. Accompagnato da patate bollite per asciugare la bocca e insalata mista con letto di cipolla per sciacquare e tenere lontani i disturbatori.



A seconda del giorno si possono trovare poi baccalà, altri pesci grigliati, carne arrosto, fagiolate, risotti. 









A fine pasto, prego lavarsi le mani all'immancabile lavandino dotato di sapone di marsiglia, altro che salviettine al limone. Evitare se possibile di fare i distratti e di asciugarsi le mani ai fogli di carta che fanno da tovaglia, pena il gestore, solitamente uomo o donna di poche parole, ma che non disdegna la chiacchiera se avvicinato (niente fronzoli ed inchini, dunque) che vi viene a dire qualcosa come "Oh, i tovaglioli sono lì in alto!". Oops. Ma pure voi, però, a mettere le tovaglie così alla mano...

Sfilano dunque n birre e sguardi divertiti che osservano i clienti che si avvicendano, molti dei quali sono di casa: lo vedi perché entrano semplicemente per fare due chiacchiere, bere un goccio, fumare una sigaretta (fuori, nelle tasche sono poche le regole rispettate, è il divieto di fumo è una di queste) per poi proseguire...per la prossima!
Nessuno ti mette fretta, nessuno ti chiede se era buono, nessuno ti rompe le scatole, insomma. Il conto lo devi chiedere tu, e così chi ti ha servito senza prendere nota dell'ordinazione, perché semplicemente si ricorda tutto,  fa due conti su un pezzo di carta riciclato e te lo porta. Pochi euro, sempre, di sicuro, niente sorprese finali. 

Se mi capita di notare voci che non corrispondono a quello che ho preso, lo dico, perché mi dà fastidio, ma devo dire che nei posti dove non emettono neanche lo scontrino di solito non si sbagliano.




L'ultima volta che sono stata  in una tasca, anche se era da un bel po' che non ci tornavo, mi hanno riconosciuta, lo so, l'ho capito. Prima di andare via gli ho anche fatto gli auguri per il piccolo, perché c'era un neonato al tavolo di famiglia, e il tipo mi ha confermato che era nato da pochi giorni, ringraziando e sorridendo "O meu neto (Il mio nipotino)!"

Sono uscita da là dentro che ero in pace col mondo.




07/03/2012

Portogallo in 5 minuti: scene dall'Italia

Lo spunto per questo post viene dal (noioso) programma televisivo Ballarò.
Se per caso capita che una sera parlino di crisi ed esordiscano con un servizio sul Portogallo, allora stai certo che dall'Italia ci sarà prontamente qualcuno a dirtelo e a farti domande, impressionato dalle parole tragiche appena sentite (per la cronaca, quel qualcuno ieri sera ha significato amica, sorella e famiglia di mr T). Il servizio incriminato lo pubblico per comodità. Anche se non è un granché, anzi, direi che sfiora il pessimo, dura pochi minuti -meno di cinque-, quindi potreste fare lo sforzo (lo so, immane!) di guardarlo. Oppure, se vi fidate di me passate oltre e leggete direttamente più sotto.


                            



Ieri sera, prim'ancora di vedere il servizio, intuendo già cosa potesse essere passato, mi sono agitata e ho colto l'occasione per fare delle considerazioni che metterò nero su bianco anche qua.
Io ho già parlato a modo mio della crisi in questo blog, qui. Era il periodo natalizio e l'atmosfera era austera (cosa che tra l'altro ho profondamente apprezzato, pensando alle nostre città con tanti problemi dove si spendono milioni di euro ogni anno per le luci natalizie, invece di, ad esempio, pagare i trasporti pubblici e di fatto lasciando i cittadini a piedi, oppure invece di investire in teatri e cultura).

Ma torniamo al "servizio". Per quanto breve, dice delle cose precise e dirette. Si mostrano i pensionati dei paesini con pensioni da 300 euro che muoiono letteralmente perché non hanno  soldi per pagarsi le ambulanze.  Si parlicchia di difficoltà a gestire il credito e della disoccupazione giovanile.
I problemi qua ci sono e sono grandi, e risalgono a ben prima della crisi recente. La povertà e gli squilibri sociali qui sono pesanti eredità di un passato di chiusura salazariana, ma non solo, sono anche sicuramente il frutto di un mal governo successivo e di una forma di indolenza diffusa.
Ok. Ma fare quel tipo di servizio mi pare l'atteggiamento propagandistico proprio di chi vuole rincuorarsi della situazione domestica guardando le magagne altrove, che, oh sì, sono ben più gravi.
Penso al fatto che nei paesini del sud Italia, posti di cui si parla poco o nulla, ci sono milioni di pensionati che vanno avanti con la minima (mia nonna in primis), e che quindi non se la passano di certo meglio dei vecchi portoghesi. Anche loro hanno l'orto, quelle immagini non mi impressionano, anzi non mi dicono nulla. E c'è di più: loro (mia nonna in primis) i prodotti dell'orto li vanno ancora a vendere agli agriturismi locali, a 86 anni, per rimpolpare la magrissima pensione. 
Andate ad intervistare anche loro! Andate a leggere nei loro volti rugosi e nelle loro mani che sanno di terra: i paesi che muoiono ce li abbiamo in casa, non c'è bisogno di scomodare l'Europa!

Poi veniamo ad un altro punto cruciale: la disoccupazione giovanile. Innanzitutto, dati alla mano, il problema è più grave in Italia che in Portogallo: ad esempio, lo dicono Il Sole 24 ore e The Economist. Ne parlavo proprio coi colleghi a pranzo qualche giorno fa.
Dati a parte, un fenomeno interessante che si verifica è che, nonostante la crisi, questo Paese riesca a richiamare un sacco di giovani da tutta Europa (ed oltre), cosa che non avviene in Italia! Perché?  Una possibile  risposta è che, oltre alla questione "filosofica" del vivere semplice, e se si apprezza la semplicità e la bellezza delle piccole cose qui ci si trova bene per forza, c'è il fatto pratico fondamentale che se vuoi lavorare qui un lavoro lo trovi, e, guarda un po', perbacco, ti pagano anche. Chiaro che non si può fare di tutto, ma per cominciare a scrivere le famose esperienze nel curriculum da qualche parte bisogna pur cominciare, possibilmente senza fare lo schiavo.
Il lavoro retribuito da noi non è mica tanto scontato, ormai. Ci sono eserciti di giovani che lavorano totalmente gratis, camuffati da stagisti, apprendisti, senza contare quelli totalmente o almeno in parte a nero... In più ora, nel pacchetto di legge sulle liberalizzazioni, hanno messo anche una norma che prevede solo un rimborso spese forfettario per i tirocinanti negli studi dei liberi professionisti (il panino della pausa pranzo e i mezzi pubblici, qualora fossero così fortunati da averli, per raggiungere il posto di lavoro). Un altro esercito in crescita, quello degli aspiranti notai, avvocati, commercialisti e via dicendo, che è come se non esistesse.

E infine...in cinque minuti non si poteva dire che nonostante la crisi questa città ha la forza di reinventarsi continuamente. Questa è una realtà bella e vera, di cui cerco di parlare per quanto posso, e non mi stancherò mai di farlo (data la mia nota indole di avvocato delle cause perse).

Insomma, tante cose meglio ometterle a Ballarò. Qua si muore di fame: sarà che invece in Italia son tutti con la panza piena e contenta? 
Amen!


03/03/2012

L'Oceano di Ericeira

Ericeira si trova a circa 30 Km da Lisbona ed è una meta molto conosciuta tra gli amanti del surf, grazie alle sue bellissime spiagge battute dal vento. Era da un po' che desideravo andarci, poi finalmente una domenica arriva l'ispirazione giusta per farlo. Chiamate due amiche che han risposto subito entusiaste, ci siam messe in macchina nell'ennesima giornata limpida di sole e di cielo azzurro di questo inverno generoso. 
Il posto è molto famoso per i suoi frutti di mare (mariscos) freschissimi e per la lunga tradizione di pesca, che è la principale risorsa degli abitanti, oltre al turismo legato al surf.

L'allegro quartetto giunge dunque sulle coste di Ericeira a cavallo dell'ora di pranzo ma viene letteralmente rapito da quel paesino bianco e blu totalmente sospeso sull'Oceano, popolato da numerosi gabbiani, con una luce spendida, vicoli e spiagge dorate. 
Pareva a tratti di stare anche in Grecia, se non fosse che l'Oceano te lo senti addosso ed intorno per la sua grandezza e per tutto quel blu.


Simpatica signora al riposo domenicale (spero non sia il barbiere).


La barca "non ti preoccupare"


Poi, dopo aver vagato nell'indecisione del sole e dei profumi di pesce e di salsedine che si spargono nei vicoli, il quartetto affamato infine si dirige verso una Marisqueira, ristorante tipico dove i piatti sono tutti a base di frutti di mare. Et voilà, la scelta è fatta. 
Scelta che si rivelerà azzeccatissima: quei frutti di mare che davvero sanno di mare e null'altro resteranno indimenticabili. Mai assaggiato niente di così intenso prima.

Cozze, gamberoni e gamberetti, granchi di varie dimensioni (tutti con nomi diversi), coccioli, ostriche e poi perceves, dei crostacei tipici delle coste atlantiche, nonché bruttini (sembrano degli animaletti preistorici) che crescono sugli scogli più battuti dalle onde, per cui prenderli è pericoloso e difficile. Ma poi ripagano abbondantemente della fatica: bruttini ma buonissimi. Li avevo assaggiati tempo fa anche in Galizia, ma qui mi hanno proprio colpito: Oceano all'ennesima potenza.





E per concludere un arroz de marisco servito nel tacho, una pentola di coccio. Profumatissimo, con vongole, gamberi e persino aragosta. Commovente.


Aggiungo che per queste bontà, pane, vino e caffè abbiamo speso 22 euro a testa. Certe cose bisogna proprio dirle per dare una misura di quel che si parla.
E già si programmano nuove avventure culinarie nella zona...

Dopo il pranzo abbiamo gironzolato per il quartiere dei pescatori. 
Beh, è stato come fare un mini viaggio nell'idea romantica che abbiamo di questo mestiere. Qui è praticata una pesca artigianale con barche piccole, reti, corde. Non conosco i termini tecnici, ma le foto parlano da sole.
Io credo di aver visto cose simili solo nei documentari degli anni '50 del grande De Seta. Attrezzi del mestiere disseminati ovunque, barche, pesci messi ad essiccare (e gatti nei paraggi...), uomini  che escono dalle loro capanne sulla sabbia per guardare il mare al tramonto. Insieme a noi.






A presto Ericeira, non vediamo l'ora di poterti ammirare anche d'estate.


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