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20/03/2013

Il mio 8 1/2. Un film per la vita

Avevo questa bozza ferma dal 19 Ottobre 2011.
Quando sono andata a ripescarla stamattina ho avuto un sussulto.

Pensieri sparsi su un Film, anzi, il Film, quello che per me ha rappresentato e continua a rappresentare un cult, un testamento spirituale, perfetto connubio di forma e contenuto, che ha saputo toccare tutte le mie corde intime, ed ora persino di più: 8 1/2 di Fellini.
Ieri sera lo hanno proiettato alla Cinemateca, un posto straordinario, un museo del cinema con programmazione sempre interessante. Per i cultori dei film d'annata, soprattutto.
Inizia infatti oggi l'omonima Festa do Cinema italiano, e in occasione del 50esimo anniversario del film era quasi scontato che da qualche parte lo riproponessero.

"Non so, per ora sulla cartellina che contiene gli appunti e la scaletta approssimativa del racconto, a parte le solite culone beneauguranti, ho disegnato un grande otto. Sarebbe il suo numero, se lo farò", disse Fellini, parlando del film in fieri che uscì poi nel 1963.
Il ruolo del regista Guido Anselmi fu in un secondo tempo affidato a Mastroianni invece che a Laurence Olivier perché quest'ultimo "era troppo bravo, mentre Fellini cercava un tipo schiacciato dalle debolezze e dalla mancanza di personalità" (così Mastroianni stesso nell'intervista che fece con la Fallaci).
Guido è infatti un regista di mezza età alle prese con una forte crisi d'ispirazione, un uomo che pare sospeso, incapace di vivere il presente; bloccato in un impasse creativo ed esistenziale, incapace di mettere in scena il suo film, di gestire i rapporti con le donne ed in generale con gli affetti. Non riesce neanche a far pace con la memoria dei suoi genitori defunti, che tornano continuamente a trovarlo insieme a tutti i personaggi dei suoi ricordi e dell'immaginazione, quasi come in una dolce tortura, facendolo abbandonare ad una malinconia  in cui riesce a trascinare anche noi.
La dimensione temporale ed emotiva è stravolta e costituisce un dondolo perpetuo tra passato e presente, realtà ed immaginazione: Guido si consuma a chiedersi come fare per capire, cosa sia nascosto tra le pieghe di un'esistenza che non si rivela, cercando risposte che non trova.
Sfilano intanto sulla scena una carrellata di personaggi indimenticabili, come la Saraghina la prostituta, e tutte le donne della sua vita: la moglie Luisa e l'amica, l'amante Carla, sua madre.
È circondato da donne, fantastica di averle tutte in un harem, non ne possiede in verità nessuna.


Mastroianni e Fellini sul set (foto dalla RAI).

Un episodio resta per me particolarmente caro. Durante una festa coi produttori del film, Fellini ci mostra Guido da bimbo, in una sequenza eccezionale. Un mago sta intrattenendo gli ospiti leggendo loro nel pensiero; quando arriva il turno di Guido, il mago scrive sulla lavagna le tre paroline "Asa Nisi Masa" e nessuno ne coglie il senso, ma esse sono la formula magica che ci permette di entrare nella porta della sua infanzia. E così conosciamo il casolare di famiglia, le vedemmie fatte di uva pestata coi piedi, le stanze che risuonano del dialetto romagnolo; sentiamo sui nostri corpi la morbidezza delle coperte rimboccate dalla nonna e udiamo sua sorella che prima di mettersi a letto pronuncia le fatidiche paroline "Asa Nisi MAsa". Anima, nel linguaggio del buffo giochino che facevo da bimba.

Sul set dimesso del film che ha ormai deciso di non girare più, dopo aver a lungo parlato della sua incapacità di amare con Claudia, la ragazza immaginaria ormai personificata che rappresenta il suo ideale di Bellezza, Guido capisce, è toccato dalla rivelazione.
D'un tratto si rende conto che non deve far altro che accostarsi alla vita in modo semplice, amare per essere amato, lasciarsi ancora intenerire dagli uomini per ritrovarsi uomo, che ciò che è è tale in virtù di ciò che è stato, in un fluire naturale in cui è immerso, in cui si riconosce...e non ha più paura di mostrarsi e di accettare anche le ombre, i fantasmi del passato, il peccato, le debolezze.
In una sorta di  epifania finale i personaggi che popolano il suo mondo interiore e reale troveranno una collocazione, e stavolta sarà una festa di suoni in un girotondo gioioso dove tutti si daranno la mano per celebrare quell'unico ed irripetibile ciak.
La malinconia ha lasciato il posto alla felicità.
Il finale è un tripudio corale, un inno alla vita.
Il film ora c'è, è stato scritto. Non ci sono altre scene da girare.

8 1/2 è semplice, tanto semplice da commuovere.
E mi commuove la scena finale che parte dal momento in cui Guido decide di far smontare il set. I suoi pensieri ad alta voce nel momento della "scoperta" (che partono dal minuto 2.55)  riescono magicamente a parlarmi in maniera speciale, ogni volta. Vale sempre la pena rivederla.






"Ma che cos'è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? 
Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo... 
Com'è giusto accettarvi, amarvi, e  com' è semplice. Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire... 
Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere, e non mi fa più paura. 
Dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita, viviamola insieme. Non so dirti altro, Luisa, né a te né agli altri: accettami così come sono, se puoi. È l'unico modo per tentare di trovarci."



E dopo il 19 Ottobre 2012, un anno esatto da quando avevo iniziato a scrivere questa bozza, il giorno che ha segnato il "prima" e il "dopo" della mia vita, queste parole oggi sembrano arrivare da lontano apposta per me.





05/08/2012

I diari della Costa Vicentina/2

E così sono tornata in città. 
Quello che ho visto in questi sette giorni è difficile da descrivere, a volte desistevo anche da fare delle foto, perché mi sembrava impossibile cogliere il Tutto. Ad esempio, seguendo un cartello che indicava un negozio di musica e prodotti bio in direzione di una stradina secondaria, una volta siamo arrivati ad una casina spersa nel nulla, davanti al quale un uomo visibilmente non portoghese era ricurvo su alcuni pezzi di legno, intento nel dar forma a qualcosa, che quando ci ha visti ha chiamato qualcuno in tedesco. Dal retrobottega è apparsa una donna radiosa, cha abbiamo scoperto essere originaria di Colonia, e che dieci anni fa insieme al suo uomo decise di lasciare tutto e trasferirsi laggiù, in mezzo al nulla. Per lei quella è la vita vera, diceva di essere rinata dopo aver cambiato aria.
La casa era bellissima, interamente ristrutturata da loro mantenendo per quanto possibile i materiali originali: cotto a terra, porte in legno rosso, travi a vista. In un angolo del soggiorno tenevano esposta la merce: alcune chitarre, che l'uomo ama suonare, e poi tisane, salse, farine, prodotti per il corpo. 
Il mio bottino è stato un sacchetto di farina per preparare i falafel, che adoro, con cui spero di cimentarmi presto.
Quando mi capita d'imbattermi in persone che fanno scelte così radicali, soprattutto se legate al luogo dove si vive, ne sono sempre molto colpita. La faccenda esercita su di me un certo fascino, e in fondo al cuore sento che potrei essere felice anch'io in quel modo, ma poi sovviene una valanga di sovrastrutture del pensiero a ricordarmi che a me piace la città, che sento di dover fare ancora mille cose urbane, e il fascino diventa meno reale. Però...

In questi giorni poi ho visto il colore rosso della terra, l'oceano impetuoso infrangersi sugli scogli, le onde, i surfisti d'ogni parte del mondo girare coi loro furgoncini hippie, uomini di paese sulle loro moto anni '60, porticcioli dimenticati,  ho sentito l'odore della salsedine e delle piante endemiche, tantissime e curiosissime, ho visto la marea abbassarsi fino a ritirare l'acqua di cento metri, per lasciare emergere sentieri e tunnel di scogli da percorrere a piedi per sentirsi un puntino piccolo in mezzo alle rocce ricoperte di milioni di patelle. E non poterne prendere neanche una!

Tutto questo ho visto, e anche di più. 





Casette tutte uguali, bianche coi contorni blu delle finestre e delle porte. Le mie preferite sono quelle con gli infissi rossi. Un cromatismo eccezionale.



Sono tornata carica, anche ispirata culinariamente, e spero di saper cogliere appieno questa bella ispirazione.
Per ora vado a metter su le mafaldine con basilico e pomodorini, il basilico del mio balcone, i pomodorini comprati ieri sera da un contadino simpaticissimo, che, facendoceli assaggiare, ha detto che dopo non avremmo più avuto bisogno di cenare. Pomodorini dolci e succosi, che a Lisbona non si trovano neanche a piangere in turco. Pomodorini veri!

Grazie Alentejo, ormai lo so che ci rivedremo presto.







06/05/2012

Immagini dall'Italia 2: la vita agreste

Alcuni giorni nell'antica Lucania, in un territorio contadino ed in parte ancora autentico, dove il quotidiano è fatto davvero di cose piccole e semplici, direi essenziali.
Qui solo un evento terribile ha potuto perturbarne l'essenza: il terremoto del 1980, che spazzò via interi luoghi, cancellò storie, vite,  e cambiò anche le persone, rappresentando proprio uno spartiacque nella storia di chi l'ha vissuto, ma anche di chi l'ha conosciuto solo dai racconti. Esiste infatti un paese "prima" e "dopo" il terremoto, e io mi son fatta l'idea che doveva essere tutto più bello prima. Penso sempre a come sarebbero oggi queste terre se non ci fosse stato lui, perché dove non è arrivata la natura, ci ha pensato l'uomo a saldare il conto.




Io ho solo vaghi e lontani ricordi di un'epoca pre-ricostruzione, in cui anche le case sventrate mi sembravano più vere e più vive, e poi avevano delle cose da raccontare, ormai destinate a perdersi per sempre, perché qui la memoria non è stata preservata, ma si è scelto di cancellarla, forse perché rendeva poco.
E questo faccio davvero fatica ad accettarlo.
Però... sono i luoghi in cui sono cresciuta, e  tutto porta il sapore di anni spensierati e bellissimi, nonostante mi siano sempre stati molto stretti certi modi di pensare e di agire -e questa dev'essere certo stata un' ulteriore ragione che mi ha spinto ad andare via. Anche se a diciotto anni uno non sempre lo sa.

Rincontro per caso nelle strade i volti di persone che conosco da sempre, che ci sono sempre stati, personaggi che popolano i ricordi d'infanzia e dell'adolescenza. Qui i vicini sono come una specie di famiglia allargata, di cui si conoscono vizi e virtù.  Uscendo di casa so che mi fermerò tante volte per salutare qualcuno, o al contrario so bene da dove non passare per evitare incontri poco graditi. 
Rivedere quei visi è per me come rivivere tutta la vita in maniera acceleratissima e condensata, e mi rendo conto che più passa il tempo e più quello che mi colpisce maggiormente sono proprio queste persone, queste figure testimoni di un passato che esiste e che sa chi sono io.
E poi ci sono i paesaggi: a valle, la pianura coi suoi campi coltivati, e poi le colline e le viti, ed infine i rassicuranti Alburni laggiù, cornici immobili ed imponenti che quando li vedo so subito che sono a casa.




Quindi la casa vera, di cui lascio alcune immagini: il ripostiglio-cantina, l'amore felino spesso maldestro ma così indispensabile, e i ravioli di ricotta in attesa di essere cucinati, capolavoro della mamma.




Quando devo ripartire è sempre dura lasciare questi luoghi, da cui una volta sono fuggita, da cui mi sento distante, a cui mi sento irrimediabilmente vicina.




17/04/2012

Hit by air: essere italiani fa male alla salute

Questi giorni freschini di tempo incerto -della serie scene melodrammatiche davanti all'armadio per vestirsi- mi fanno pensare ad un articolo di Dany Mitzman, giornalista della BBC residente da anni a Bologna che qualche mese fa scrisse qui, in maniera scherzosa ma non troppo, dell'attitudine tutta italiana ad inventarsi malanni, specie nella stagione invernale, fino a rasentare l'ipocondria. 
Essendo inglese, lei rimane sempre stupita dalla profonda conoscenza dell'anatomia che gli italiani dimostrano. Da aggiungere che i siciliani hanno addirittura una nomenclatura tutta loro (vedi immagine sotto), ma son dettagli.
La cosa importante è che da ciò, secondo la Mitzman, scaturirebbero una serie di acciacchi sconosciuti ai britannici: sappiamo ad esempio distinguere una colite da un mal di stomaco, un mal di fegato, o asseriamo di avere "la cervicale", o di aver subito un "colpo d'aria" -espressione che a quanto pare è intraducibile in inglese. E non sottovalutiamo affatto l'importanza del "cambio di stagione". 
Ché, diciamolo, noi sappiamo benissimo quanto ci costi in termini di sonnolenza e fiacchezza generale! E quindi giù di vitamine e sali minerali e cure ricostituenti.


Preso qui


Ok. Lo ammetto. Esiste da noi un problema serio, che è l'automedicazione e l'abuso di farmaci perpetrato da generazioni e generazioni. A volte anche io quando sono in Italia penso di essere circondata da maniaci del malanno e del rimedio. Gente che vive con la borsa piena di farmaci, che se si sposta si trascina in valigia una busta piena delle pasticche più improbabili, dall'antibiotico al siero antipuntura di ape, orde di fan dei poteri magico-miracolosi dell'aspirina "stasera non mi sento tanto bene, prendo un'aspirina e vado a letto, domani mi sveglio come nuovo". E, per combattere la paura del colpo d'aria, bambini imbacuccati ed imbustati nei passeggini ad effetto serra, persone che vanno in giro col passamontagna, che li devi riconoscere dagli occhi o dal colore del passamontagna. 

Non sono mai stata una gran consumatrice di farmaci, anzi, li prendo solo in momenti di disperazione, e tutto sommato me la cavo: facendo corna, toccando ferro e invocando i riti scaramantici delle fattucchiere del Vesuvio, ho una salute dignitosa. Non mi becco un'influenza da quando andavo alle medie e mia madre mi diceva che erano "febbri di crescita", sulla cui esistenza non ho mai indagato, anche se ci sono testimoni pronti a giurare che al termine di quelle febbri ogni volta il pigiama mi andava sempre più corto.
Però. Quando vedo americani e nordeuropei andare in giro in infradito e shorts a Dicembre, permettetemi, ma anche nell'impeto meno nazionalista del secolo, scordandomi tutto quel poco che so di anatomia del corpo umano, non posso fare a meno di pensare che stiano di fuori. Stessa cosa dicasi per i portoghesi impavidi che sfoggiano capelli bagnati alla fermata dell'autobus alle 7 di mattina, con la nebbia negli occhi e la brina in testa.

E non sono particolarmente freddolosa, anche se ahimè la sindrome del piedino ibernato specie a letto la sera colpisce anche me, non soffro di cervicale -anche se per la cattiva postura al pc prima o poi mi spunterà la gobba definitiva- e non indosso la maglia della salute -ma ricordo che da piccola erano botte di maglie di lana lunghe come sottovesti, che si faceva una fatica immane ad infilarle nelle calze ad altezza ascellare. 
Però. Professo in questa sede la mia fede nel colpo d'aria. Ci credo. Ho visto persone accasciarsi pietosamente, colpite dall'aria dopo un pranzo lungo e difficile; corpi esanimi e colli torti dopo che l'aria aveva colpito ancora, tutti caduti come mosche, abbattuti dai feroci colpi assestati dal nemico; schiene incriccate e cervicali che si risvegliano agguerrite.
Con me si vede che l'aria predilige l'occhio, perché sennò come si spiega quell'occhio rosso e dolorante che ogni tanto mi dà il buongiorno la mattina allo specchio e che mi fa sentire menomata per qualche ora per poi tornare normale? Anche se non ho mai capito com'è che st'aria mi colpisca di notte, visto che dormo con le finestre chiuse.
Sarà che sono miope dall'età di sette teneri anni e che conosco in dettaglio persino la mia retina, avendola fotografata per evidenziarne eventuali assottigliamenti sospetti? Dopo che mi avevano folgorato l'iride con un collirio dilatante -roba da restare abbagliati dalla lucina del flash per 10 ore?

Chissà, forse davvero, come fa intendere Mitzman, ignoranti is better.









28/03/2012

Menù di ieri: la giornata mondiale del teatro.

Ieri decorreva la 50esima giornata mondiale del teatro. Per l'occasione molti teatri in città erano ad entrata gratuita.
Io ero uscita da lavoro tardi e mi godevo l'aria primaverile, quando ad un certo punto vedo giungere un'allegra compagine di ragazzi e ragazze festanti e vestiti in maniera divertente. 


Non avevo la macchina fotografica, perciò mi sono adoprata con l'intonsa funzione del mio cellulare.
Abbiate pietà per la qualità...

Si sono messi davanti a noi e hanno iniziato a cantare ed a recitare dei piccoli pezzi, per poi distribuire dei volantini con un messaggio di John Malkovich, invitato dall' International Theatre Institute a fare un discorso commemorativo.
Il messaggio di John (il quale, per inciso, ha un ristorante proprio qui in città, che sorge nella zona portuale dove prima c'era una fabbrica di navi), augura che il lavoro di "voi compagni di teatro possa aiutarci a riflettere su cosa vuol dire essere uomini, e che questa riflessione sia guidata dal cuore, dalla sincerità, dal candore e dallo charme. E che ciò che di meglio abita in voi possa rispondere -sebbene solo in alcuni brevi e rari istanti- alla domanda fondamentale: com'è che viviamo?"

Ecco, io credo che questa ricerca vada fatta sempre, anche se spesso ce ne dimentichiamo, o non ci badiamo, presi da altre piccole cose.
E soprattutto, con una sana dose di autoironia, di spirito, perché a prendersi troppo sul serio si finisce per non piacersi nemmeno un po'.

Quindi ricordo a tale proposito un grande del teatro e del cinema italiano. Uno dei più bravi di sempre, in una delle puntate della rubrica "Vittorio Gassman legge" che andava in onda all'interno della trasmissione televisiva "Avanzi", quando la stagione televisiva era certamente più felice di quella di oggi. Eccolo, Vittorio Gassman che legge il menù. 









07/03/2012

Portogallo in 5 minuti: scene dall'Italia

Lo spunto per questo post viene dal (noioso) programma televisivo Ballarò.
Se per caso capita che una sera parlino di crisi ed esordiscano con un servizio sul Portogallo, allora stai certo che dall'Italia ci sarà prontamente qualcuno a dirtelo e a farti domande, impressionato dalle parole tragiche appena sentite (per la cronaca, quel qualcuno ieri sera ha significato amica, sorella e famiglia di mr T). Il servizio incriminato lo pubblico per comodità. Anche se non è un granché, anzi, direi che sfiora il pessimo, dura pochi minuti -meno di cinque-, quindi potreste fare lo sforzo (lo so, immane!) di guardarlo. Oppure, se vi fidate di me passate oltre e leggete direttamente più sotto.


                            



Ieri sera, prim'ancora di vedere il servizio, intuendo già cosa potesse essere passato, mi sono agitata e ho colto l'occasione per fare delle considerazioni che metterò nero su bianco anche qua.
Io ho già parlato a modo mio della crisi in questo blog, qui. Era il periodo natalizio e l'atmosfera era austera (cosa che tra l'altro ho profondamente apprezzato, pensando alle nostre città con tanti problemi dove si spendono milioni di euro ogni anno per le luci natalizie, invece di, ad esempio, pagare i trasporti pubblici e di fatto lasciando i cittadini a piedi, oppure invece di investire in teatri e cultura).

Ma torniamo al "servizio". Per quanto breve, dice delle cose precise e dirette. Si mostrano i pensionati dei paesini con pensioni da 300 euro che muoiono letteralmente perché non hanno  soldi per pagarsi le ambulanze.  Si parlicchia di difficoltà a gestire il credito e della disoccupazione giovanile.
I problemi qua ci sono e sono grandi, e risalgono a ben prima della crisi recente. La povertà e gli squilibri sociali qui sono pesanti eredità di un passato di chiusura salazariana, ma non solo, sono anche sicuramente il frutto di un mal governo successivo e di una forma di indolenza diffusa.
Ok. Ma fare quel tipo di servizio mi pare l'atteggiamento propagandistico proprio di chi vuole rincuorarsi della situazione domestica guardando le magagne altrove, che, oh sì, sono ben più gravi.
Penso al fatto che nei paesini del sud Italia, posti di cui si parla poco o nulla, ci sono milioni di pensionati che vanno avanti con la minima (mia nonna in primis), e che quindi non se la passano di certo meglio dei vecchi portoghesi. Anche loro hanno l'orto, quelle immagini non mi impressionano, anzi non mi dicono nulla. E c'è di più: loro (mia nonna in primis) i prodotti dell'orto li vanno ancora a vendere agli agriturismi locali, a 86 anni, per rimpolpare la magrissima pensione. 
Andate ad intervistare anche loro! Andate a leggere nei loro volti rugosi e nelle loro mani che sanno di terra: i paesi che muoiono ce li abbiamo in casa, non c'è bisogno di scomodare l'Europa!

Poi veniamo ad un altro punto cruciale: la disoccupazione giovanile. Innanzitutto, dati alla mano, il problema è più grave in Italia che in Portogallo: ad esempio, lo dicono Il Sole 24 ore e The Economist. Ne parlavo proprio coi colleghi a pranzo qualche giorno fa.
Dati a parte, un fenomeno interessante che si verifica è che, nonostante la crisi, questo Paese riesca a richiamare un sacco di giovani da tutta Europa (ed oltre), cosa che non avviene in Italia! Perché?  Una possibile  risposta è che, oltre alla questione "filosofica" del vivere semplice, e se si apprezza la semplicità e la bellezza delle piccole cose qui ci si trova bene per forza, c'è il fatto pratico fondamentale che se vuoi lavorare qui un lavoro lo trovi, e, guarda un po', perbacco, ti pagano anche. Chiaro che non si può fare di tutto, ma per cominciare a scrivere le famose esperienze nel curriculum da qualche parte bisogna pur cominciare, possibilmente senza fare lo schiavo.
Il lavoro retribuito da noi non è mica tanto scontato, ormai. Ci sono eserciti di giovani che lavorano totalmente gratis, camuffati da stagisti, apprendisti, senza contare quelli totalmente o almeno in parte a nero... In più ora, nel pacchetto di legge sulle liberalizzazioni, hanno messo anche una norma che prevede solo un rimborso spese forfettario per i tirocinanti negli studi dei liberi professionisti (il panino della pausa pranzo e i mezzi pubblici, qualora fossero così fortunati da averli, per raggiungere il posto di lavoro). Un altro esercito in crescita, quello degli aspiranti notai, avvocati, commercialisti e via dicendo, che è come se non esistesse.

E infine...in cinque minuti non si poteva dire che nonostante la crisi questa città ha la forza di reinventarsi continuamente. Questa è una realtà bella e vera, di cui cerco di parlare per quanto posso, e non mi stancherò mai di farlo (data la mia nota indole di avvocato delle cause perse).

Insomma, tante cose meglio ometterle a Ballarò. Qua si muore di fame: sarà che invece in Italia son tutti con la panza piena e contenta? 
Amen!


22/02/2012

La bolla di Internet

P. Steiner, New Yorker 1993. Nel 2012 le cose sono ben diverse.
  
Era da un po' di tempo che riflettevo sul ruolo di internet nella nostra quotidianità, nello stravolgimento dei concetti di vicino e lontano, di accesso alle informazioni e al mare di input che ogni giorno riceviamo.
Già...quanti input! Ma siamo proprio sicuri che la rete ci apra davvero nuovi orizzonti del pensiero, ci arricchisca e ci renda liberi come crediamo? Non ci vuole molto per rendersi conto che non è affatto così. 
Anzi, le nostre opinioni rischiano di essere sempre più omologate, perché siamo in balia della personalizzazione del web, di un mondo virtuale costruito su misura per il nostro profilo, cosicché la tendenza insita è quella di farci vedere le cose che ci piacciono, ma non quelle di cui abbiamo davvero bisogno per arricchirci, quelle che ci rendono un pochino migliori di com'eravamo ieri.

Mi sono sentita di dedicare un post alla causa dopo aver letto questo sul blog di Andima, dopo che ne avevo anche parlato qualche tempo fa con una mia amica e dopo che la faccenda mi sta frullando in testa da un po'.
Su TED gira questo video di Eli Parisier, un attivista politico nonché fondatore di Avaaz.org (il sito no-profit che permette agli utenti di organizzare e gestire petizioni online) ed autore del libro "The filter bubble", in cui affronta questa tematica, riassumibile con la frase "siamo sempre più prigionieri di una "filter bubble" che ci gratifica e ci compiace, ci offre quello che vogliamo, ci indica cosa desiderare, e in questa bolla siamo completamente soli". 




Come scoppiare la bolla. Al link trovate una serie di metodi pratici per combattere questa aberrazione, e non è nulla di difficile: son cose che il più delle volte non facciamo per pura pigrizia, come ad esempio eliminare i cookies, cancellare la cronologia di navigazione o navigare in incognito. Abbiamo gli strumenti per difenderci, bisogna che li usiamo!
Credo sia pericoloso non avere quantomeno coscienza di tutto questo: aldilà delle ovvie questioni di privacy, c'è il rischio che la nostra visione del mondo venga determinata dall'esterno e solo in minor parte dal nostro senso critico. È perciò sempre necessario un forte senso di attenzione a ciò che ci circonda per capire come funzionano certi meccanismi che potrebbero sembrare innocui e passare inosservati. 

Consapevolezza soprattutto, e quindi curiosità. Quella speriamo non manchi mai.
"Del resto, è solo la curiosità che mi fa alzare la mattina", diceva Fellini, che la sapeva lunga.

03/12/2011

Il licor Beirão, Sarkozy e le luci di Natale

La curiosa pubblicità natalizia del liquore Beirão (un digestivo al sapore di liquirizia ed anice diffusissimo qua) in cui mi sono imbattuta alla fermata del tram ritrae una caricatura composta di Sarkozy che ne regge in mano compiaciuto una bottiglia mentre la didascalia dice "Caro Nicolas, il Portogallo sta facendo del suo meglio". Poi continua incitando i consumatori a regalare prodotti nazionali per Natale. E ho scoperto che ne esiste anche una versione, identica, con la Merkel ..non poteva di certo mancare anche lei!
Una maniera per sdrammatizzare un po' la situazione attuale non propriamente felice dell'economia portoghese.




Eh già, Natale si avvicina e la crisi detta anche la pubblicità e la sobrietà dei decori festivi: quest'anno ancora niente luci per le strade, niente addobbi, niente albero gigante.
Il nuovo premier Coelho, eletto a Giugno dopo le dimissioni di Socrates, sta mettendo in atto un piano di misure di austerity molto pesante: ad esempio, hanno fatto molto discutere i sostanziosi tagli ai salari ed alle pensioni dei dipendenti pubblici, politici compresi, ed i prelievi forzati alla tredicesima e alla quattordicesima per chi percepisce un salario superiore al minimo (che non arriva a 500 euro). La crisi ha allargato ancora di piu' la forbice tra ceti abbienti e non, facendo assottigliare -se non addirittura sparire- la classe media, già scarsamente rappresentata in Portogallo (cosa che ho notato subito e che mi ha colpito quando sono arrivata a Lisbona).


Per Giovedì 24 Novembre era stato indetto lo sciopero generale dei lavoratori; tra i sindacati, quelli dei lavoratori nel settore dei trasporti pubblici sono stati i più compatti, provocando forti disagi alla mobilità. I prezzi dei biglietti di tram, autobus, metro e treno metropolitano sono aumentati in pochi mesi in molti casi del 40%  e presto alcune linee verranno soppresse a scapito ovviamente delle zone più periferiche.

Tuttavia, come sempre succede, fioriscono alcune attività che riescono a trarre vantaggio da questa situazione: oltre ai negozi che acquistano oro e gioielli ad un prezzo molto inferiore a quello di mercato (attualmente l'oro è alle stelle), proliferano i call center, detti più elegantemente uffici di customer service, di cui Lisbona è piena.
Ormai moltissime multinazionali trasferiscono qui questo tipo di attività perché, pur rimanendo in Europa, il costo del lavoro è bassissimo. Parlo di colossi come Google, Microsoft, Apple, Siemens, Fujitsu, solo per citarne alcuni.
In questi posti vengono assunti impiegati da tutta Europa, per cui se per esempio qualcuno chiama dall'Italia la Microsoft perché gli si è inceppato il sistema operativo, sta in realtà chiamando un italiano a Lisbona che lavora 8 ore al dì per pochi euro (e pochissima gloria). E le aziende che si occupano di customer service a Lisbona hanno utili altissimi e si espandono a vista d'occhio in periodi di ristrettezze e di tagli aziendali. Mors tua...
Insomma, il 2012 si prospetta un anno molto duro da queste parti.

Mi piace però in questo momento chiudere con un lampo di leggerezza, come ho iniziato, e perché no, di speranza. E lo spunto, ancora una volta, mi viene dalla città martoriata dalla crisi. Mi auguro davvero che tempi come questi servano per capire dove si è sbagliato e per provare a ripartire avendo conosciuto cosa vuol dire il peggio, che nei proverbi deve sempre ancora venire, mentre nella realtà ti sorprende anche quando era stato annunciato.
Camminando per Rua do século leggo, affisso alla porta di una galleria di arte che espone pezzi da collezionismo di giocattoli:



"Contro la crisi serve ottimismo. [...] In tempo di crisi l'arte è necessaria [...] Per superare la crisi serve passione!"
Meno male che ogni tanto c'è qualcuno che ci tiene a ricordarcelo.


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