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01/09/2013

Il sapore di un abbraccio. Abraça alguém, sabe bem.

Mi giro un attimo ed Agosto non c'è più. 
Se n'è andato portando via con sé pomeriggi al mare, giornate dense d'impegni, strade vuote dei circuiti non turistici della città che amo pensare soltanto mie e di pochi altri, mentre mi perdo nei profumi del gelsomino rosso, fiorito come un miracolo nel giardino di una villa abbandonata.

 


Nel sole che brucia la pelle di un pomeriggio lento, scopro vecchie fabbriche di vino in palazzi di art nouveau volute da quell'Abel Pereira da Fonseca che in punto di morte disse saggiamente agli eredi "finché il Tago avrà acqua, a Lisbona non dovrà smettere di scorrere vino".
Dove ora si possono incontrare bettole d'altri tempi con avventori che sembrano usciti da un cinema anni '60.
Entro attirata dall'ombra e dalla penombra per chiedere un toast, ormai fanno toast ovunque in città, mi spiace, qui non abbiamo toast, solo pezzi di carne arrostita. E tanta birra.



Poi, mentre il sole mi acceca riflesso sui palazzi bianchi e gialli che non smettono di rincorrermi, mi assale il sapore di un abbraccio.
Ne avevo dato un altro soltanto poco prima, nel salutare due amici all'aeroporto.

E ritorno a Cabo Espichel, presso quelle rocce estreme dove l'oceano s'infrange impietoso erodendo l'anima con la sua salsedine, un posto carico di storia e di leggende, dove sembra di essere altrove sulla Terra; dove ci si affaccia sull'acqua attraversando una piazza deserta, andando incontro a qualcosa carichi di aspettative, ma senza sapere che spettacolo si stia per aprire davanti.

Poi te la trovi davanti e dentro, e ovunque.

La bellezza di un abbraccio.

Di quelli che ho dato e che darò sempre, nell'ora ineluttabile del commiato.


Eremo di Nossa Senhora do Cabo
Il Faro. Photo courtesy of my friend Claudia
Abraça alguém, sabe bem.





04/08/2013

La musica di Lisbona

Una sera di Giugno del 2005. 
Mentre la mia tesi attende di essere completata in un computer di una scrivania bolognese (mi sarei laureata a Dicembre) mi trovo agli estremi occidentali d'Europa in un posto dove un pianista suona musiche di Monk appositamente per due ospiti speciali. Quei due siamo io e mrT, e ci siamo imbattuti nel locale vagando senza una meta per i vicoli di Alfama. 

Già da quell' ormai lontano ma indimenticabile viaggio capii che Lisbona è meticcia, sa di Africa e d'America, è improvvisazione, sincope, guizzo improvviso, è una nota trascinata, sapore di stanze buie riscaldate dai respiri umidi là dentro, bagliore accecante di cristalli di luce là fuori, preghiera antica delle donne che aspettano i marinai salpati per terre lontane, è la festa del ritorno a casa.
In una parola, è jazz. 

Ho già scritto il mio personale perché. Riferendomi invece strettamente alla scena  musicale, posso dire molto altro.
Ad esempio, da un'anima blue e dalla passione di alcuni giovani lisboeti è nata l'etichetta indipendente Clean Feed che è ormai diventata riferimento per molto jazz contemporaneo in tutto il mondo. Lo storico posto da dove tutto iniziò nel 2001 per me è luogo di venerazione ammirata perché i proprietari sono stati capaci in pochi anni di creare un piccolo miracolo. E senza montarsi la testa: adesso hanno trasformato lo store in un posto dov'è possibile ancora bere birra ad un euro e ascoltare concerti dal vivo senza sborsare un soldo.

Innumerevoli poi sono le iniziative musicali jazz presenti in città durante l'anno.
L'autunno e l' inverno vedono fiorire i festival nei teatri e negli auditori, nonché all' Hot Clube, un autentico jazz club -tra i più antichi d'Europa- dove si sta pigiati nottetempo soltanto per ascoltare musica. 
E bere birra ad un euro.
La primavera e l'estate sono ovviamente le regine degli spazi all'aria aperta: grandi e piccoli nomi si susseguono sui palchi cittadini, ed è sempre una festa parteciparvi. 
Perché la città risuona della musica di cui è fatta.

L'estate è il momento di  OutJazz: da Maggio a Settembre ogni domenica pomeriggio un parco pubblico (che cambia ogni mese) offre un'ora di musica completamente gratuita in un'atmosfera rilassata e allegra.
Questo mese è il turno anche di Jazz em Agosto e stasera vado a sentire l'eclettico John Zorn che suona con gli Electric Masada, di cui fa parte uno dei miei chitarristi preferiti, Marc Ribot, autore di quegli inconfondibili riff che si sentono ad esempio in molti pezzi dello zio Tom (Waits) e Vinicio Capossela.



Arriva un bel concerto dopo l'incredibile giornata di ieri, trascorsa su una spiaggia nascosta trovata per caso dopo aver lasciato l'auto tra gli alberi, il nostro Big Sur atlantico. 


Tutto questo è musica.








Aggiornamento post concerto.
John Zorn and Electric Masada sono una delle cose più interessanti e divertenti che abbia sentito negli ultimi anni. Definirli con un genere sarebbe arduo e riduttivo: sonorità yiddish ed orientali, ma anche elettroniche e rock, la compagine trasmette un'energia incredibile già dalle primissime note. 
Una formazione a tre percussioni, Zorn al sax e in veste di singolare direttore; Marc Ribot in gran forma, musicisti eclettici e divertiti. Impossibile non tenere alta l'attenzione dall'inizio alla fine, impossibile stare fermi.
Se suonano dalle vostre parti vi consiglio caldamente di andarli a vedere!










16/06/2013

Un'amicizia italo-luso-nipponica

Sono state settimane pesanti, spero siano alle spalle.
Ieri un tocco di leggerezza è venuto come una boccata d'aria fresca dalla Festa del Giappone che si organizza in città ormai da qualche anno, proprio nel giardino giapponese non molto lontano da casa mia. Mi ha offerto parecchi spunti e smosso ricordi, perciò sarà un post lunghetto, ma è tanto che non scrivo, imploro pietà!

Quest'anno ricorre il 470º anniversario dell'amicizia tra Portogallo e Giappone. Sbirciando qua e là tra i vari banchetti della festa ho avuto modo di approfondire certe cose sulla storia dei rapporti tra i due Paesi.
Dopo la conquista di Goa e Malacca (in India e Malesia) nel 1510, il Portogallo premeva lungo le coste cinesi per stabilire basi commerciali ed insediamenti che consolidassero le presenze portoghesi nelle Indie orientali. Nel 1543 il Portogallo fu il primo Paese europeo a raggiungere il Giappone, pare per caso, in balia delle correnti, per poi ottenere nel giro di qualche decennio la base di Nagasaki. 
Nel frattempo, formalizzato anche l'insediamento a Macao avallato dalla dinastia Ming nel 1557, il commercio decollava, e floridi erano anche gli scambi culturali.
Apro una breve parentesi. Vorrei ricordare come ad esempio il té (in portoghese chá, che viene dall'assonante parola in mandarino) venne introdotto in Europa proprio dai portoghesi e raggiunse l'Inghilterra tramite la regina Catarina di Braganza che soleva intrattenere le cortigiane con la deliziosa ed esotica bevanda... onde evitare che spendessero quelle ore tutte col re Carlo II, noto dongiovanni.

I rapporti commerciali col Giappone risultarono stretegici: il commercio con la Cina, essenziale per la sopravvivenza dell'arcipelago, era praticamente azzerato dall'embargo decretato ai giapponesi dopo ripetuti episodi di pirateria. I portoghesi arrivarono al momento giusto per proporsi come intermediari commerciali tra Giappone, Cina e Corea, dando inizio al cosiddetto "periodo del commercio Nanban" che andò avanti fino al 1641, anno della promulgazione del sakoku, ossia della chiusura delle frontiere che decretò l'espulsione degli europei dall'arcipelago, soprattutto per cercare di proteggerlo dall'opera di evangelizzazione cominciata proprio dai portoghesi, vista come una minaccia alla stabilità dello shogunato.
Nanban vuol dire barbaro meridionale: per i giapponesi i visitatori dovevano apparire davvero poco sofisticati; del resto i resoconti di Fernão Pinto, lo scrittore e viaggiatore portoghese che narrava le sue imprese nelle Indie, parlavano del Giappone come di una nazione ricca di bellezze e risorse naturali, abitata da uomini e donne di bell'aspetto, dai costumi sobri ma eleganti.























Così ecco spiegato perché, curiosando tra i banchetti dedicati ai dolci (ovvio!), m'imbatto nel Kasutela che è proprio il pão de ló, una specie di pandispagna, che i giapponesi usano mangiare col té.
Scopro poi che diverse parole ancora in uso hanno origine lusa, come ad esempio tempura (tempero, condimento), botan (botão, bottone), kappa (capa, impermeabile), koppu (copo, bicchiere). Curiosando invece tra i banchetti dedicati ai manga il mio occhio cade su un libricino e non ho potuto resistere, da oggi è qui con noi, il fumetto numero 7 di Carletto il principe dei mostri (Kaibutsu-kun).























E mi son venuti in mente Hiroki e Serina, la coppia di Tokyo con cui abbiamo diviso alcuni mesi nella prima casa in quel di Siena. 
Lui era cantante lirico e si trovava in città per un corso all'Accademia musicale Chigiana, lei casalinga e approfittava della parentesi italiana per fare un corso di lingua.
Al loro arrivo ci riempirono di regalini: sottobicchieri di bambù, bacchette per mangiare, e poi durante il soggiorno ci regalarono il loro dvd de Il castello errante di Owl, bicchieri da vino, varie cartelline serigrafate con La grande onda di Hokusai.
Ricordo una serata passata insieme a vedere al pc un concerto di Hiroki che si cimentava con O' sole mio ed altre arie, tra l'altro con un'ottima pronuncia, frutto di grande applicazione; ricordo una volta che c'invitarono a cena e lei si struggeva dall'ansia perché temeva il nostro giudizio da italiani sulla cottura degli spaghetti (che per la cronaca, erano perfetti; meglio ancora il maiale cotto alla maniera giapponese che costituiva l'altro piatto). Il frigorifero era pieno di curiosi ed indecifrabili tubetti e bustine colorate, ed il té verde a tavola non mancava mai.
Conservo ancora tutto da qualche parte in Italia, nei miei scatoloni da nomade, insieme ai bigliettini in italiano che Serina e noi ci scambiavamo, sprezzanti della tecnologia del duemila, e che lasciavamo sul tavolo del soggiorno.
Quando se ne andarono gli regalammo un cesto di prodotti tipici delle nostre terre, -del genere soppressate e melanzane sott'olio- e Serina si trasformò di colpo in una fontana umana, emozionando tutti. 

Non ho mai visto una persona commuoversi così davanti ad un regalo.
Chissà se un giorno li rivedremo mai.


Lisbona, cala la sera



Dopo la festa, in cui ho dovuto rinunciare ad alcuni deliziosi dolcetti alla ciliegia perché c'era una fila di un'ora, siamo andati ad un arraial, una delle feste di quartiere che impazzano a Giugno (ne avevo parlato qui l'anno scorso).
Fila per la sardina anche lì, gettiamo la spugna e ci rechiamo in un altro quartiere dove abbiamo potuto mangiare le nostre sardine in santa pace.
Beh, non proprio. Nel giro di due minuti siamo stati letteralmente assaliti da alcuni bambini del quartiere che ci hanno venduto di tutto.
E così anche quest'anno abbiamo il nostro manjerico, dopo che il primo anno m'era miseramente seccato il giorno dopo per averlo toccato (la leggenda vuole che non si debbano toccarne le foglioline). 



Facciata adorna







Oggi il basilichino è ancora bello verde e arzillo, promette bene.







23/08/2012

Heartbeats

Oggi mi sento così, come quelle palline di colore che inondano una città di luce che può essere sull'Atlantico o sul Pacifico, poco importa.
Ho amato questo pezzo da subito, perché mi infonde speranza, mi trasmette una delicatezza ed una pace incredibili.
Ho amato questo video da subito, ancor prima di visitare quei luoghi, quando li potevo solo immaginare,  quando le salite e le discese, il blu ed il bianco mi sapevano tanto di Lisbona.
E poco importa che sia una pubblicità, se è la più bella che io abbia mai visto.
Oggi sono una pallina colorata.







                                                   




[Se blogspot fa le bizze per caricare il video, conviene cliccare sull'icona dello schermo intero, in basso a destra accanto alla scritta YouTube.]






05/08/2012

I diari della Costa Vicentina/2

E così sono tornata in città. 
Quello che ho visto in questi sette giorni è difficile da descrivere, a volte desistevo anche da fare delle foto, perché mi sembrava impossibile cogliere il Tutto. Ad esempio, seguendo un cartello che indicava un negozio di musica e prodotti bio in direzione di una stradina secondaria, una volta siamo arrivati ad una casina spersa nel nulla, davanti al quale un uomo visibilmente non portoghese era ricurvo su alcuni pezzi di legno, intento nel dar forma a qualcosa, che quando ci ha visti ha chiamato qualcuno in tedesco. Dal retrobottega è apparsa una donna radiosa, cha abbiamo scoperto essere originaria di Colonia, e che dieci anni fa insieme al suo uomo decise di lasciare tutto e trasferirsi laggiù, in mezzo al nulla. Per lei quella è la vita vera, diceva di essere rinata dopo aver cambiato aria.
La casa era bellissima, interamente ristrutturata da loro mantenendo per quanto possibile i materiali originali: cotto a terra, porte in legno rosso, travi a vista. In un angolo del soggiorno tenevano esposta la merce: alcune chitarre, che l'uomo ama suonare, e poi tisane, salse, farine, prodotti per il corpo. 
Il mio bottino è stato un sacchetto di farina per preparare i falafel, che adoro, con cui spero di cimentarmi presto.
Quando mi capita d'imbattermi in persone che fanno scelte così radicali, soprattutto se legate al luogo dove si vive, ne sono sempre molto colpita. La faccenda esercita su di me un certo fascino, e in fondo al cuore sento che potrei essere felice anch'io in quel modo, ma poi sovviene una valanga di sovrastrutture del pensiero a ricordarmi che a me piace la città, che sento di dover fare ancora mille cose urbane, e il fascino diventa meno reale. Però...

In questi giorni poi ho visto il colore rosso della terra, l'oceano impetuoso infrangersi sugli scogli, le onde, i surfisti d'ogni parte del mondo girare coi loro furgoncini hippie, uomini di paese sulle loro moto anni '60, porticcioli dimenticati,  ho sentito l'odore della salsedine e delle piante endemiche, tantissime e curiosissime, ho visto la marea abbassarsi fino a ritirare l'acqua di cento metri, per lasciare emergere sentieri e tunnel di scogli da percorrere a piedi per sentirsi un puntino piccolo in mezzo alle rocce ricoperte di milioni di patelle. E non poterne prendere neanche una!

Tutto questo ho visto, e anche di più. 





Casette tutte uguali, bianche coi contorni blu delle finestre e delle porte. Le mie preferite sono quelle con gli infissi rossi. Un cromatismo eccezionale.



Sono tornata carica, anche ispirata culinariamente, e spero di saper cogliere appieno questa bella ispirazione.
Per ora vado a metter su le mafaldine con basilico e pomodorini, il basilico del mio balcone, i pomodorini comprati ieri sera da un contadino simpaticissimo, che, facendoceli assaggiare, ha detto che dopo non avremmo più avuto bisogno di cenare. Pomodorini dolci e succosi, che a Lisbona non si trovano neanche a piangere in turco. Pomodorini veri!

Grazie Alentejo, ormai lo so che ci rivedremo presto.







30/07/2012

I diari della Costa Vicentina/1

E così, dopo dieci giorni in compagnia, OceansTwo ritornò alla routine lisboeta. 
Ma ancora per pochi giorni, perché la settimana di ferie si avvicinava, nella natura del Parque do Sudoeste Alentejano e Costa Vicentina, una regione che comincia ad un paio d'ore a sud di Lisbona, offrendo un centinaio di Km di costa assolutamente selvaggia. 

Con questo post inauguro dunque i diari della Costa Vicentina 2012, per immortalare momenti di quest'estate, che per me in pratica comincia solo ora. Saranno post brevi, in cui lascerò parlare le immagini. Perché è questa l'essenza del Parco: natura allo stato puro. Le spiagge sono incastonate tra le rocce, oppure nascoste tra le dune sabbiose, alcune si rivelano subito, altre bisogna meritarsele, ma lo sforzo viene più che ripagato. 




Non ci si stancherebbe mai di cercarne un'altra, l'ennesima meraviglia, per lasciarsene conquistare ed eleggerla a spiaggia della vita.







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