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06/04/2013

La Sierra, stavolta davvero Nevada

C'ero già stata a Luglio, in un'altra vita. Mi sembra passato un secolo da allora, quella volta eravamo in due e ancora nessuno a parte noi tre lo sapeva. Non avrei mai immaginato di tornarci così presto, anzi, non era proprio nei miei piani. Poi le cose sono andate diversamente, ed eccomi di nuovo su queste vette, stavolta in piena stagione sciistica. 
Due ore per arrivare da Granada: pulmino fino ad un certo punto, poi teleferica e poi ancora gatto delle nevi.
Quattro giorni di clausura forzata a causa della bufera che non permetteva di mettere neanche il naso fuori, poi finalmente oggi esce il sole, anche se stanotte s'è tutto ghiacciato.
E allora ne approfitto per fare due passi e respirare un po' di aria buona.
Due passi con la neve alta non sono impresa da poco, quindi avanzo con grazia leggera nel manto bianco con gli scarponi rubati a mrT -non sono attrezzata con racchette- e cerco di scattare qualche foto tra un affondo e l'altro.
E' tutto così talmente bianco che neanche gli occhiali da sole da mezzo chilo che mi son portata appresso riescono a far granché, mi devo coprire la fronte con le mani.
Scatto un po' a caso cercando di intuire luce e colori perché dove l'occhio non arriva bisogna usare la fantasia.
Osservo gli sciatori disegnare linee morbide di panna, penso che se sapessi sciare anch'io quassù sarebbe il Paradiso. Ma mi accontento della vista ...e della fantasia.

Granada laggiù


Mentre cammino sento rumori sinistri, scorgo pezzi di ghiaccio che si staccano dalla cima del bestione.
Eh sì, perché quassù sono venuta ancora una volta solo per lui.
Penso che con questo vento sia meglio rientrare, mi si stanno ghiacciando i pensieri  e poi con tutto questo movimento di antenne temo che altro ghiaccio possa staccarsi e finire ben più vicino a me dell'ultima volta.



Poi è ora di catturare qualche segnale, ma non sono gli extraterrestri.
Vado nella stanza dei bottoni da dove si lanciano i comandi al bestione che risponde (quasi sempre).
Sei ore le passerò qua, con gli occhi prima a palla, poi sempre più in fase calante.
Solo una piccola pausa di qualche minuto per catturare il tramonto.




Una vita fa era estate.








17/09/2012

Cinque cose da Madrid

Duecento chilometri di scarpinate dopo, eccomi di ritorno a Lisbona.
Sono reduce da una settimana in quel di Madrid: i primi quattro giorni di dovere sono trascorsi a ritmi forsennati. Sveglia alle sette ed un quarto, presto ritardata fino alle sette e quarantacinque come Fantozzi, avendo subito imparato ad ottimizzare i tempi (tra l'altro il mio fuso interno era settato su un'ora prima, l'ora di Lisbona); colazione al volo -tanto non c'era da stare allegri- e autobus poco dopo le otto per raggiungere il luogo della conferenza, una landa sperduta e deserta come le aride lande della Castiglia possono essere. A pranzo bisognava che facessi le corse in sala mensa per non finire arrostita lungo il breve tragitto perché il sole era davvero impietoso, ed il caffè consumato sotto il tendone effetto serra non dava di certo sollievo.
Ma finalmente giunse il Venerdì, e con esso i tre giorni di piacere, anche quelli comunque a ritmi forsennati! Mancavo da Madrid da molti anni, ed ero curiosa di rivederla, di viverla. 
Perché a Madrid non è che ci sia tanto da vedere parlando di monumenti, ma è una città da vivere nei suoi quartieri, evitando possibilmente la bolgia delle vie centralissime e dedicandosi alla scoperta di piazze e stradine certamente più interessanti.

stazione in ferro di Principe Pio
Luci de La Latina
     Una delle mie piazze preferite, Plaza del dos de Mayo, quartiere Malasaña
Murales nel Barrio das Letras
Piazzetta del quartiere Universidad
             Un angolo...dolce, ancora Malasaña


Ho visto belle librerie disseminate un po' ovunque. Molte abbinavano un angolo degustazione per il vino o permettevano persino di cenare. In una addirittura regalavano un libro per ogni consumazione!
Nel quartiere multietnico di Lavapiés, dove si mischiano la cultura senegalese con l'indiana, la cinese e la sudamericana (specialmente messicana e peruviana), ho avuto modo di visitare la bella biblioteca della "Escuelas Pias", un collegio-chiesa fondato nel 1729 per l'educazione dei bambini poveri, e che venne poi distrutto durante la Guerra Civile. Sulle sue rovine da pochi anni è sorto il centro culturale. Un posto davvero suggestivo, peccato che fossi fuori orario visita ed il custode m'abbia messo un po' fretta con le foto.








































Ed ecco infine cinque cose che mi resteranno di questa città.
Uno. Ho finalmente visto "Guernica". E che meraviglia! Emozionante davvero, con quel bianco e nero strepitoso.

Due. Il carlino è decisamente il cane più diffuso in città, ne incontrerete centinaia! Spesso girano anche in coppia, e ho persino adocchiato un adesivo sagoma sulla vetrina di qualche negozio. Impressionante la densità di questi cani dalla faccia simpatica. E poi si fanno gli affari loro, e questa per me è cosa buona e giusta, specie se sei al parco cercando di prendere un po' di refrigerio.

Tre. Pian piano, dopo secoli di decadenza, i madrileni stanno imparando a fare il caffè. Ho trovato posti dove l'espresso era addirittura Illy, e non era malaccio, ma direi che lo sforzo se lo fanno ripagare a caro prezzo: sono arrivata a sborsare 1.60 euro per una tazzina della preziosa bevanda!






Abbiamo bisogno di riposare. Meno rumore più pulizia
Quattro, quesito esistenziale: come fanno i madrileni a sopravvivere a quei ritmi? Il weekend è davvero all'insegna della movida, non è una leggenda, me n'ero già accorta la prima volta ma ora ho tastato con mano, avendo preso una pensioncina in un quartiere super richiesto alla sera. Diciamo che il fine settimana di un madrileno medio  si svolge così: in piedi verso le due, per strada a partire dalle quattro con aperitivo per inaugurare i festeggiamenti a suon di tapas e birre, cena alle undici e così via con tapas e birre fino alla mattina dopo, senza sosta. Io ho alzato bandiera bianca sempre molto presto per i loro standard (al massimo ho fatto le 2), e, dopo la prima notte quasi insonne, ho dovuto procurarmi il kit di sopravvivenza madrilena: un bel paio di tappi isolanti per orecchie. Indispensabili.


Cinque. E fu così che scoprii la cucina basca: divina! Lassù preparano centinaia di pintxos, degli stuzzichini ottimi nonché molto coreografici coi quali impazzire. I miei preferiti sono stati quello con pomodoro fritto, brie e uovo di quaglia (che in un altro contesto non sarei mai riuscita a mangiare, avendo un rapporto difficile con i pennuti che non siano galline e polli) e delle buonissime croquetas di formaggio che si scioglievano in bocca, oltre che essere deliziosamente servite in una carinissima cestina.
In generale comunque si riesce a mangiare molto bene e anche cose molto variegate, crostacei e pesce freschissimo ovunque. Eppure la città dista ben 400 chilometri dal mare, ma possiede il mercato del pesce più grande di tutta la Spagna.
Ecco due mercati gastronomici per gourmet: Mercado de Sant Anton, nella Chueca, dove ho mangiato i pintxos delle foto qui sotto, ma dove si possono gustare delizie da tutto il mondo nonché farsi cucinare in terrazza i prodotti acquistati al piano di sotto, e il famosissimo Mercado San Miguel in zona Plaza Mayor,  ottimi prodotti ma decisamente affollato e caotico, quindi io ho preferito il primo, perché tra l'altro è frequentato molto di più da gente locale rispetto al secondo, pieno zeppo anche di turisti.






















Madrid è una città da vivere a mille, è giovane e dinamica, moderna ed aperta.

Maglietta in vendita nel quartiere Chueca

Da evitare in estate, perché il caldo non risparmia nessuno. Persino ora è dura uscire durante il giorno, quando dall'asfalto si sprigiona il calore accumulato nelle ore torride.
Ho i piedi consumati dal troppo camminare, nonostante in città vi sia una rete di metro molto capillare, con ben dieci linee -che però s'intersecano poco. Ma sono sottigliezze.
Se ci andate l'importante è che non vi scordiate i tappi per le orecchie: vi salveranno la vita!


Ps. Grazie a tutti per i commenti affettuosi al post precedente, mi avete fatto compagnia e riscaldato il cuore!











01/07/2012

Lassù nella Sierra Nevada

Cinque giorni sulla vetta di Pico del Veleta, a più di 3.400 m nel Parco Nazionale della Sierra Nevada che sovrasta Granada. 
Il paesaggio è a tratti lunare, residui di neve sono incastonati nelle rocce alte e aspre tutt'intorno, mentre le ripide discese giustificano la stazione sciistica a valle.
La città giù bolle in un fuoco incessante; quassù l'aria è secca ed il cielo è limpido, il vento fortissimo a volte soffia a 120 Km/h, rendendo difficile la sosta all'aperto.
E me ne sto qui, nel mio esilio dorato, da dove il mondo e le sue stranezze appaiono lontani, e piccoli. Queste altezze liberano la mente da ogni pensiero indelicato.




Dopo la passeggiatina pomeridiana in assenza di vento (finalmente!), arriva la sera della finale di Euro 2012.
Che beffa: la guarderò in terra ostile, circondata da andalusi superconvinti che Casillas sia il portiere più forte eccetera eccetera. Ma non me la perderò, perché già ho perso quella contro l'Inghilterra in quanto ero in volo per Monaco, e quella con la Germania perché stavo arrivando a Granada e sono riuscita a vederne solo i venti minuti finali, spiando dentro un bar. Sarò davanti al mio pc in streaming con le mie brave cuffiette a sperare e tifare che il titolo non vada ai giallorossi. 
Sennò chi se li sorbisce altri tre giorni a questi?



14/04/2012

Il sacro e il profano di Castilla y León. Part II. il profano

Il viaggio profano inizia in modo consono, cioè con due luoghi comuni della Spagna: il toro e il prosciutto (jamón).
Ecco. Questi non sono affatto luoghi comuni, sono semplicemente il chiodo fisso da queste parti! A parte i tori nelle bandiere e quelli veri che pascolano perennemente nei campi, il nuovo design iberico prevede installazioni di statue coloratissime di tori a grandezza naturale lungo la statale. Tori di tutti i colori, con fantasie per tutti i gusti. 
Ero in macchina, purtroppo non sono riuscita a fotografarli (speravo di beccarne almeno uno vintage al ritorno, ma abbiamo cambiato strada). 
Ci sono anche delle strade che si chiamano semplicemente "Toro", senza neanche fregiarsi del titolo di "strada" o "viale" o, che so, "passeggio". Dove sei? In Toro no. 21, arrivo subito. Dammi solo il tempo di ingozzarmi di jamón e arrivo.
Infatti è lui il re della tavola, che campeggia trionfante in ogni bar, appeso con altri cento esemplari sulle vostre teste, una spada di Damocle suina e profumatissima.
E se invece optate per una caña, ossia una birra alla spina, non potete credere che lo spillatore abbia le fattezze di ciò che pende sulla vostra testa, e che sia persino corredato di elegante zampa con piedino all'insù.







Fuori dai centri abitati si estendono i vigneti ad alberello di tempranillo di Toro. In questo caso Toro è la località, e quindi abbiamo anche i famosi vini di Toro. Olé!
La terra qui è rossa, sanguigna, ed in questa stagione le viti spoglie e nere creano un colpo d'occhio particolare.




Le città sono delle piccole perle di architettura medievale e cinquecentesca.
Oltre a Zamora (di cui vi ho parlato nel post sacro) che pullula di chiese romaniche, gli altri posti che ho visto sembrano fermi alle epiche imprese della Spagna di Don Chisciotte: piazze rettangolari con portici per lo più lignei, rigorosamente Plaze Mayor, e dedali di stradine con palazzi e i loro balconi coperti in legno o ferro battuto.



E poi Salamanca, città universitaria e viva, gioiellino romanico-gotico-barocco.
L'interno della cattedrale vecchia è uno dei più belli che abbia visto, soprattutto per gli effetti ottici che le poche finestre e i rosoni riescono a ricreare sapientemente, in un inseguirsi di luci ed ombre in bianco e nero. 
All'uscita il sorprendente blu immenso del cielo è accecante.





Torniamo all'aspetto mangereccio con le tapas. Banconi lunghissimi imbanditi e dove si azzuffano i famelici prima, durante e dopo l'ora di pranzo, buttando rigorosamente le carte a terra. L'ho visto fare a tutti, camerieri che sparecchiavano compresi. 
Se ci arrivate affamati è la vostra fine, perché quei banchi dove alloggiano schiere di teglie piene di ogni cosa -per lo più fritta- vi sembreranno un'oasi nel deserto.
Ho persino rischiato di mangiare uno spezzatino di labbra di vacca con patate: infatti lo avevo chiesto indicandolo, ma poi l'occhio m'era provvidenzialmente caduto nel piatto dell'avventore che consumava rigorosamente in piedi e, intravedendo callosità sospette, avevo chiesto ragguagli. No, grazie, facciamo che mi dai quella frionzola di...ehm...jamón, ché tanto qua non ho scampo.
I vini sono ottimi, del resto in questa zona si estende la Ribera del Duero, ossia il Douro portoghese, zona vinicola da secoli e di alta qualità.



Il piatto che anche da solo potrà infierirvi il colpo di grazia sarà fatto di salsiccia arrostita coperta da patate fritte e pimientos de padron, i cosiddetti friarielli, insomma, per chi mastica un po' di cucina del sud.

Eh già, quanto mi è familiare 'sto piatto!
Gli spagnoli ci hanno lasciato eredità "pesanti" anche ai fornelli. La tortilla, ad esempio, esiste anche da noi, e si chiama frittata di patate, cioè quel che è.




La Castilla y León è anche la regione dove si parla il castigliano puro.  
Gli altri. Perché io, che prima di venire a vivere qua masticavo un po' di spagnolo, adesso l'ho praticamente rimosso: la somiglianza apparentemente strettissima al portoghese, mista alla familiarità con l'italiano hanno reso tutto molto...creativo. 


Guardando nei cieli qui è  facile avvistare simpatici uccelli, di cui campanili e tetti merlati ospitano i nidi, anzi i nidoni: le cicogne! Io non le avevo mai viste, sono bellissime!  Ed emettono uno strano suono battendo il becco. 
L'ultimo giorno, dopo aver attraversato autunno ed inverno, finalmente decine di rondini ci ricordano che è davvero primavera.




Simpatici insomma questi castigliani. Ma quanto sono caciaroni! Son capaci di fare chiasso anche in tre. Mentre esulto quando escono dal locale in cui sono capitata regalandomi un attimo di quiete, mi viene in mente una scritta che campeggiava qualche tempo fa sui muri di Lisbona.







Abbassiamo il volume dunque, il viaggio e' finito: si torna in Portogallo. 






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