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27/10/2013

Lisbona anni '40, Casino Royale in tempi di guerra

Ieri sono stata a vedere la mostra fotografica "A última fronteira- Lisboa em tempos de guerra" (entrata tre euro), allestita nel nuovo Museu da Cidade nel centralissimo Terreiro do Paço, l'affollata piazza -da me invero poco frequentata- dai palazzi gialli con vista sul Tejo.



E ho scoperto un pezzo della della vita a Lisbona negli anni '40, in piena seconda guerra mondiale.
Si sa che il Portogallo restò neutrale alla guerra per volontà del dittatore Salazar (a ricordarcelo tra l'altro c'è la famosa statua del Cristo Rei oltre il ponte 25 de Abril), anche se idealmente appoggiava l'Asse.
Nel 1940 a Lisbona si pensava all'apertura dell' Exposição do Mundo Português, per celebrare i centenari della nascita dello Stato (anno 1140) e della restaurazione dell'indipendenza dagli spagnoli (anno 1640), esposizione che rimase la piú grande del Paese fino a quella recente del '98 (di cui parlai qua).
Tuttavia, temendo attacchi aerei, i portoghesi provvidero a mettere in salvo i loro monumenti, ergendo delle vere e proprie barriere fortificate attorno a ciascuno di essi, e svuotando i musei delle loro opere d'arte.

La città divenne rapidamente già nel corso del 1941 il rifugio di fiumi (si parla di centinaia di migliaia di arrivi) di fuggiaschi, esiliati politici, spie, ebrei, aristocratici, attori, scrittori, giornalisti che venivano in terra neutrale in attesa o di ripartire per altrove (principalmente per l'America, se riuscivano a procurarsi la dichiarazione di qualche parente/amico già oltreoceano che avrebbe garantito per loro) o per ricrearsi una vita sulle sponde del Tejo.
Passarono per Lisbona molti scrittori (Ian Fleming, Arthur Koestler, Alfred Döblin tra gli altri) ed artisti (ricordo di aver visto il nome di Marc Chagall); nacquero circoli culturali per sole donne organizzati dalle signore dell'alta borghesia inglese.
La capitale visse allora un fermento culturale e sociale che non le era proprio in tempi di dittatura nazionalista quale quella salazariana (terminata, per la cronaca, soltanto nel 1974 -nonostante Salazar fosse morto tempo prima- con la rivoluzione dei garofani, di cui parlerò prima o poi perché rappresenta una pagina di storia davvero emblematica).  
Lisbona, unico porto libero e neutrale d'Europa, diventò punto d'incontro e sala d'attesa di tutti coloro che fuggivano da Hitler.
Di notte, "mentre Salazar dormiva", a Lisbona si muoveva una rete sotterranea e occulta di informazioni: le vicende fanno da sfondo al romanzo di Amaral Domingos (2013), che provvederò a reperire presto.

Karl O. Paetel, giornalista e corrispondente berlinese piú tardi a New York, disse: "Arrivammo a Praça do Rossio, nel centro di Lisbona. Magnifico! Solo chi viene da un Paese immerso nell'oscurità totale, dove di notte bisogna camminare in strada sondando con cautela il percorso, può apprezzare quello che trovammo quando alle due di notte sentimmo in maniera violenta su di noi la magia di quelle luci nella piazza".


La neutralità portoghese permise la libera circolazione della propaganda dei Paesi in guerra; Lisbona divenne un'importante piattaforma di confronto ideologico, di scambio d'informazioni e di spionaggio, le radio e i cinema fiorenti come non mai erano presi d'assalto dalle persone in attesa di notizie dall'estero.
Una curiosità: fu tra Lisbona ed Estoril, sede di un grande casinò, che si consolidò una rete fittisima di spionaggio: fu proprio assistendo ad una partita a carte nel casinò che Ian Fleming ebbe l'ispirazione per Casino Royale, il primo libro della saga di James Bond...
Il momento della ripartenza per altri lidi arrivava per quelli che riuscivano ad ottenere un visto e ricongiungersi coi proprio cari in America.
Scriveva Alfred Döblin, l'autore di "Berlin Alexanderplatz", -non ho cercato, ehm, trovato la versione italiana-:

"The ship weighs anchor in the darkness of the night. It was slowly turned and tugged down the Tagus. The centenary exhibition shone like in a fairy tale, as we passed. Its magical light was the last image we had of Europe shrouded in mourning".


Partenza


La mostra, che ho trovato davvero interessante perché rivolta a svelare uno spaccato di storia poco noto, dura fino al 15 Dicembre; nel resto dell'anno, per chi fosse interessato ad un percorso alternativo in città e volesse saperne di piú su quei tempi, segnalo che per dieci euro si può prenotare una visita guidata attraverso i luoghi della seconda guerra mondiale di cui ho parlato.







06/10/2013

Autunno nel Douro. Vino e non solo

L'autunno è una stagione che amo molto per i suoi colori, che nella mia mente sono quelli della vite e delle vinacce ( infanzia ed adolescenza vissute in un paesino collinare e i tre anni di campagna intensa e meravigliosa tra Siena e Chianti si fanno sentire). Anche quando ero a Pavia mi piaceva spingermi nell'Oltrepò per andare a catturare i colori da me amati.
Cercare l'autunno a Lisbona non è impresa facile per me, mancano le viti, ma è possibile percorrerne le tracce per esempio a Nord, nel Douro.
Il Douro è una regione che prende il nome dall'omonimo fiume che nasce in Spagna come Duero e s' insinua tra le dolci colline arrivando fino alla città di Porto, il capoluogo (di cui parlerò prima o poi), da dove poi confluisce nelle acque dell'Atlantico.
La valle del Douro è una zona fertile e in cui è praticata la coltura della vite da duemila anni; coi suoi ettari di vigneti adagiati sui pendii è l’esempio più significativo di viticultura di montagna in Europa.
È stata una delle prime regioni viticole al mondo ad essere certificata per la qualità e nel 2001 l’UNESCO l' ha inserita nella lista del Patrimonio dell'umanità.
La valle del Douro è stata una delle prime zone vinicole al mondo ad essere certificata per qualità. - See more at: http://gustodivino.it/home-gusto-vino/la-valle-del-douro-e-il-vino-di-porto/massimiliano-montes/1581/#sthash.SyfBeGoH.dpuf
Alla fine del Medioevo furono i monaci circestensi a edificare ed organizzare molte delle quintas (tenute) ancora oggi esistenti sui pendii collinari più belli del fiume che costituiva la principale via di trasporto e comunicazione dell’epoca e permetteva alle merci di raggiungere la città di Porto a sua volta collegata alle principali rotte commerciali marittime europee.


I terrazzamenti (socalcos).
 

Lo strettissimo rapporto tra lavoro dell’uomo e il ricco territorio, dove sono presenti cento vitigni autoctoni sia bianchi che rossi, hanno contribuito alla nascita di uno dei vini fortificati più conosciuti nel mondo, o vinho do Porto. Si dice che la sua origine venga dalle spedizioni oltreoceano, quando le navi, per rallegrare l'equipaggio nelle lunghe traversate, conservavano il vino in barili posti in stiva dove l'alta temperatura era deleteria per la sua manutenzione.
Venne allora recuperata la tradizione già esistente tra i monaci dei conventi di aggiungere alcol etilico al liquame imbevibile per aumentarne la gradazione, e magicamente la cosa non solo funzionò, ma produsse anche una bevanda gradevole al consumo.
Per chi volesse approfondire le tecniche di produzione del vinho do Porto rimando a questo dettagliato articolo.

Impressioni di luce sul fiume Douro
Colori d'autunno

Tradizionalmente il Porto è frutto di un assemblaggio di uve provenienti da diversi vigneti, vinificate con tecniche differenti, e di diverse annate; ma recentemente si utilizza anche il metodo “Quinta unica”, ovvero con uve proveniente da una sola tenuta - See more at: http://gustodivino.it/home-gusto-vino/la-valle-del-douro-e-il-vino-di-porto/massimiliano-montes/1581/#sthash.SyfBeGoH.dpuf

Comunque la regione produce tanti altri vini buonissimi che meritano di essere conosciuti e amati. Fatevi sotto, dunque, se passate di qua.
Ma non è mica tutto vino, anche se noi siamo tendenti all'avvinazzamento facile.

Il Nord del Portogallo è una regione affascinante e "gotica", dove piove molto e spesso, dove il bianco e i colori del Sud lasciano il posto al grigio dello scisto, all'odore delle foglie bagnate dei boschi e dei ciottoli in strada, a venditori di castagne che si muovono su moto vintage.
Dove i paesini custodiscono gelosamente i loro tesori architettonici e gastronomici. Bisogna andarseli a cercare, e ogni volta la scoperta ripaga!

Tetti di Lamego
Pannello di azulejos a tema in una stazione di treni
La vista dalla camera della nostra piccola quinta
Percorsi rurali
Castagne vintage


Può anche capitare che il Primo Novembre passi per delle vie dove vedi grandi folle giungere da ogni lato e accalcarsi davanti ad una stamberga. Capisci subito che si tratta di una festa o un festino mangereccio e allora ti fermi perché vuoi saperne di piú.
E ti ritrovi catapultato in una dimensione parallela dove alle dieci di mattina in una stanza abili macellai preparano bistecche da quarti di maiale e nell'altra persino bimbi insospettabili consumano con avidità la loro costoletta appena arrostita. E chiedi spiegazioni, e ti dicono che si celebra così il Primo Novembre, con la mattanza del maiale e l'orgia alimentare collettiva.

Tutti in fila per la carne e la zuppa


E no, non ce la puoi fare a quell'ora.
Ma l'occhio ti cade sulle damigiane di vino.
Lo vendono sfuso ad un euro al litro. Non puoi resistere e te ne fai riempire felice una bottiglia precaria con tappo precario che si va ad aggiungere alla cassa che già è parcheggiata nel bagagliaio dell'auto.

E riparti un po' a malincuore, lasciandoti alle spalle nuvole di fumo di fuoco e facce rosse ebbre di vita, cuori semplici che festeggiano a modo loro il ciclo delle stagioni.




01/09/2013

Il sapore di un abbraccio. Abraça alguém, sabe bem.

Mi giro un attimo ed Agosto non c'è più. 
Se n'è andato portando via con sé pomeriggi al mare, giornate dense d'impegni, strade vuote dei circuiti non turistici della città che amo pensare soltanto mie e di pochi altri, mentre mi perdo nei profumi del gelsomino rosso, fiorito come un miracolo nel giardino di una villa abbandonata.

 


Nel sole che brucia la pelle di un pomeriggio lento, scopro vecchie fabbriche di vino in palazzi di art nouveau volute da quell'Abel Pereira da Fonseca che in punto di morte disse saggiamente agli eredi "finché il Tago avrà acqua, a Lisbona non dovrà smettere di scorrere vino".
Dove ora si possono incontrare bettole d'altri tempi con avventori che sembrano usciti da un cinema anni '60.
Entro attirata dall'ombra e dalla penombra per chiedere un toast, ormai fanno toast ovunque in città, mi spiace, qui non abbiamo toast, solo pezzi di carne arrostita. E tanta birra.



Poi, mentre il sole mi acceca riflesso sui palazzi bianchi e gialli che non smettono di rincorrermi, mi assale il sapore di un abbraccio.
Ne avevo dato un altro soltanto poco prima, nel salutare due amici all'aeroporto.

E ritorno a Cabo Espichel, presso quelle rocce estreme dove l'oceano s'infrange impietoso erodendo l'anima con la sua salsedine, un posto carico di storia e di leggende, dove sembra di essere altrove sulla Terra; dove ci si affaccia sull'acqua attraversando una piazza deserta, andando incontro a qualcosa carichi di aspettative, ma senza sapere che spettacolo si stia per aprire davanti.

Poi te la trovi davanti e dentro, e ovunque.

La bellezza di un abbraccio.

Di quelli che ho dato e che darò sempre, nell'ora ineluttabile del commiato.


Eremo di Nossa Senhora do Cabo
Il Faro. Photo courtesy of my friend Claudia
Abraça alguém, sabe bem.





16/06/2013

Un'amicizia italo-luso-nipponica

Sono state settimane pesanti, spero siano alle spalle.
Ieri un tocco di leggerezza è venuto come una boccata d'aria fresca dalla Festa del Giappone che si organizza in città ormai da qualche anno, proprio nel giardino giapponese non molto lontano da casa mia. Mi ha offerto parecchi spunti e smosso ricordi, perciò sarà un post lunghetto, ma è tanto che non scrivo, imploro pietà!

Quest'anno ricorre il 470º anniversario dell'amicizia tra Portogallo e Giappone. Sbirciando qua e là tra i vari banchetti della festa ho avuto modo di approfondire certe cose sulla storia dei rapporti tra i due Paesi.
Dopo la conquista di Goa e Malacca (in India e Malesia) nel 1510, il Portogallo premeva lungo le coste cinesi per stabilire basi commerciali ed insediamenti che consolidassero le presenze portoghesi nelle Indie orientali. Nel 1543 il Portogallo fu il primo Paese europeo a raggiungere il Giappone, pare per caso, in balia delle correnti, per poi ottenere nel giro di qualche decennio la base di Nagasaki. 
Nel frattempo, formalizzato anche l'insediamento a Macao avallato dalla dinastia Ming nel 1557, il commercio decollava, e floridi erano anche gli scambi culturali.
Apro una breve parentesi. Vorrei ricordare come ad esempio il té (in portoghese chá, che viene dall'assonante parola in mandarino) venne introdotto in Europa proprio dai portoghesi e raggiunse l'Inghilterra tramite la regina Catarina di Braganza che soleva intrattenere le cortigiane con la deliziosa ed esotica bevanda... onde evitare che spendessero quelle ore tutte col re Carlo II, noto dongiovanni.

I rapporti commerciali col Giappone risultarono stretegici: il commercio con la Cina, essenziale per la sopravvivenza dell'arcipelago, era praticamente azzerato dall'embargo decretato ai giapponesi dopo ripetuti episodi di pirateria. I portoghesi arrivarono al momento giusto per proporsi come intermediari commerciali tra Giappone, Cina e Corea, dando inizio al cosiddetto "periodo del commercio Nanban" che andò avanti fino al 1641, anno della promulgazione del sakoku, ossia della chiusura delle frontiere che decretò l'espulsione degli europei dall'arcipelago, soprattutto per cercare di proteggerlo dall'opera di evangelizzazione cominciata proprio dai portoghesi, vista come una minaccia alla stabilità dello shogunato.
Nanban vuol dire barbaro meridionale: per i giapponesi i visitatori dovevano apparire davvero poco sofisticati; del resto i resoconti di Fernão Pinto, lo scrittore e viaggiatore portoghese che narrava le sue imprese nelle Indie, parlavano del Giappone come di una nazione ricca di bellezze e risorse naturali, abitata da uomini e donne di bell'aspetto, dai costumi sobri ma eleganti.























Così ecco spiegato perché, curiosando tra i banchetti dedicati ai dolci (ovvio!), m'imbatto nel Kasutela che è proprio il pão de ló, una specie di pandispagna, che i giapponesi usano mangiare col té.
Scopro poi che diverse parole ancora in uso hanno origine lusa, come ad esempio tempura (tempero, condimento), botan (botão, bottone), kappa (capa, impermeabile), koppu (copo, bicchiere). Curiosando invece tra i banchetti dedicati ai manga il mio occhio cade su un libricino e non ho potuto resistere, da oggi è qui con noi, il fumetto numero 7 di Carletto il principe dei mostri (Kaibutsu-kun).























E mi son venuti in mente Hiroki e Serina, la coppia di Tokyo con cui abbiamo diviso alcuni mesi nella prima casa in quel di Siena. 
Lui era cantante lirico e si trovava in città per un corso all'Accademia musicale Chigiana, lei casalinga e approfittava della parentesi italiana per fare un corso di lingua.
Al loro arrivo ci riempirono di regalini: sottobicchieri di bambù, bacchette per mangiare, e poi durante il soggiorno ci regalarono il loro dvd de Il castello errante di Owl, bicchieri da vino, varie cartelline serigrafate con La grande onda di Hokusai.
Ricordo una serata passata insieme a vedere al pc un concerto di Hiroki che si cimentava con O' sole mio ed altre arie, tra l'altro con un'ottima pronuncia, frutto di grande applicazione; ricordo una volta che c'invitarono a cena e lei si struggeva dall'ansia perché temeva il nostro giudizio da italiani sulla cottura degli spaghetti (che per la cronaca, erano perfetti; meglio ancora il maiale cotto alla maniera giapponese che costituiva l'altro piatto). Il frigorifero era pieno di curiosi ed indecifrabili tubetti e bustine colorate, ed il té verde a tavola non mancava mai.
Conservo ancora tutto da qualche parte in Italia, nei miei scatoloni da nomade, insieme ai bigliettini in italiano che Serina e noi ci scambiavamo, sprezzanti della tecnologia del duemila, e che lasciavamo sul tavolo del soggiorno.
Quando se ne andarono gli regalammo un cesto di prodotti tipici delle nostre terre, -del genere soppressate e melanzane sott'olio- e Serina si trasformò di colpo in una fontana umana, emozionando tutti. 

Non ho mai visto una persona commuoversi così davanti ad un regalo.
Chissà se un giorno li rivedremo mai.


Lisbona, cala la sera



Dopo la festa, in cui ho dovuto rinunciare ad alcuni deliziosi dolcetti alla ciliegia perché c'era una fila di un'ora, siamo andati ad un arraial, una delle feste di quartiere che impazzano a Giugno (ne avevo parlato qui l'anno scorso).
Fila per la sardina anche lì, gettiamo la spugna e ci rechiamo in un altro quartiere dove abbiamo potuto mangiare le nostre sardine in santa pace.
Beh, non proprio. Nel giro di due minuti siamo stati letteralmente assaliti da alcuni bambini del quartiere che ci hanno venduto di tutto.
E così anche quest'anno abbiamo il nostro manjerico, dopo che il primo anno m'era miseramente seccato il giorno dopo per averlo toccato (la leggenda vuole che non si debbano toccarne le foglioline). 



Facciata adorna







Oggi il basilichino è ancora bello verde e arzillo, promette bene.







19/05/2013

Storie di azulejos e musiche creole

Torno finalmente a parlare di Lisbona (qui l' ultimo post a riguardo che avevo scritto secoli fa).
Ieri era la giornata internazionale dei musei. Aperture fino a notte, iniziative e mostre, tutto gratuito. Un'ottima occasione per andare al  Museo nazionale dell' Azulejo, situato nel cinquecentesco convento Madre de Deus nel quartiere omonimo (dal quale prese anche il nome il famoso gruppo fado-folk che molti ricorderanno per il ruolo da co-protagonista del Lisbon story di Wenders).
L'azulejo (in cui la j si pronuncia come nella parola francese bonjour, tanto per inciso, perché se ne sentono diverse "versioni") è la famosa piastrella decorata che adorna tutto il Portogallo.
azulejo moresco
L'origine è moresca, ma nel corso dei secoli, e soprattutto a partire dall'epoca barocca, qui si è andata affermando come arte caratteristica e peculiare, in cui i segni arabi hanno lasciato man mano il posto a motivi squisitamente locali e con tratti evidenti di contaminazione delle colonie d'oltremare. Fu infatti proprio con l'importazione delle ceramiche bianche e blu dalla Cina nel XVII secolo (il Portogallo aveva colonie anche a Macao) che si ebbe la sua diffusione nel tratto riconoscibilissimo. Le piastrelle cominciarono a comparire ovunque: giardini, chiese, palazzi, a raffigurare scene popolari, legate alla navigazione e alle conquiste di mare, di nobiltà o religiose. 


Dettaglio del pannello con palazzo andato distrutto.
Quando il quartiere della Baixa non esisteva.
Tra tutti spicca per importanza storiografica il pannello "Grande vista de Lisboa" (qui trovate un'immagine che può far rendere conto delle dimensioni) datato attorno al 1700 e che riprende quasi 15 Km di vista della città lungo il Tejo com'era prima del terribile terremoto del 1755, una catastrofe immane accompagnata da tsunami ed incendio che distrusse gran parte della città, che fu poi ricostruita ad opera del marchese Pombal (da cui l'aggettivo "pombalino" per designare quello stile architettonico seguente al disastro e il quartiere piano della "Baixa" con le sue vie ad angolo retto, secondo il gusto dell'epoca ).


Abbiamo speso una mezz'ora buona ad immaginare la Lisbona medievale e barocca, riconoscendo, con l'aiuto delle spiegazioni museali, i monumenti che sono ancora presenti nelle zone storiche, con un tocco di rimpianto per ciò che è andato perduto per sempre e con la curiosità di scoprire antichi quartieri ora trasformati (ad esempio il bairro do Mocambo che nel 1500 era il quartiere nero) o la localizzazione del nostro -che era un bucolico agglomerato di casine immerso nel verde delle colline-. 







Girando per i vari piani del museo il mio occhio è stato rapito da due raffigurazioni in particolare, entrambe del '600. La prima si chiama  "pannello satirico" e ritrae uno strano figuro intento a fare una siringa ad un poveraccio sotto lo sguardo interessato di donne e bambini...



ll secondo azulejo per me vince il primo premio. Si chiama "lo sposalizio della gallina" e ritrae una gallina che convola a nozze con un macaco in un regno popolato da macachi ed elefanti. 
Ho cercato notizie a riguardo e ho scoperto che è un azulejo il cui significato è quasi sicuramente allegorico ma sconosciuto (alcuni suppongono che la gallina sia una qualche regina). Curiosissima e divertente l'esotica mescolanza di animali!

Casamento da galinha, 1665.


Particolare della sposa in carrozza.


Nell'800 e nel '900 gli azulejos sono diventati sempre più decorativi, ricoprendo spesso le facciate dei palazzi e delle stazioni della metropolitana, grazie ad esempio di artisti come Maria Keil (di metro e palazzi parlerò un'altra volta, perché meritano un discorso a parte).
Insomma, fare un giro nel Museu do Azulejo è davvero immergersi nella Lisbona del passato e del presente, perché vi si ritrovano temi e motivi riscontrabili passeggiando anche distrattamente per la città, dove ad ogni angolo ogni ceramica ha qualcosa da raccontare o un po' di bellezza da regalare.


Dopo la mostra abbiamo assistito ad una messa creola cantata nella chiesa del convento con pausa panino nelle fantastiche cucine (dove gli azulejos, va da sé, sono tutti a tema mangereccio).


               




La serata s'è chiusa in bellezza con un concerto di mornas e coladeras capoverdiane nel chiostro.
Qui uno dei pezzi che abbiamo ascoltato, "Angola" della grande Cesária Évora.
Tutti a battere le mani al suo ritmo irresistibile.

Adoro il creolo portoghese di Cabo Verde.












  
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