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06/10/2013

Autunno nel Douro. Vino e non solo

L'autunno è una stagione che amo molto per i suoi colori, che nella mia mente sono quelli della vite e delle vinacce ( infanzia ed adolescenza vissute in un paesino collinare e i tre anni di campagna intensa e meravigliosa tra Siena e Chianti si fanno sentire). Anche quando ero a Pavia mi piaceva spingermi nell'Oltrepò per andare a catturare i colori da me amati.
Cercare l'autunno a Lisbona non è impresa facile per me, mancano le viti, ma è possibile percorrerne le tracce per esempio a Nord, nel Douro.
Il Douro è una regione che prende il nome dall'omonimo fiume che nasce in Spagna come Duero e s' insinua tra le dolci colline arrivando fino alla città di Porto, il capoluogo (di cui parlerò prima o poi), da dove poi confluisce nelle acque dell'Atlantico.
La valle del Douro è una zona fertile e in cui è praticata la coltura della vite da duemila anni; coi suoi ettari di vigneti adagiati sui pendii è l’esempio più significativo di viticultura di montagna in Europa.
È stata una delle prime regioni viticole al mondo ad essere certificata per la qualità e nel 2001 l’UNESCO l' ha inserita nella lista del Patrimonio dell'umanità.
La valle del Douro è stata una delle prime zone vinicole al mondo ad essere certificata per qualità. - See more at: http://gustodivino.it/home-gusto-vino/la-valle-del-douro-e-il-vino-di-porto/massimiliano-montes/1581/#sthash.SyfBeGoH.dpuf
Alla fine del Medioevo furono i monaci circestensi a edificare ed organizzare molte delle quintas (tenute) ancora oggi esistenti sui pendii collinari più belli del fiume che costituiva la principale via di trasporto e comunicazione dell’epoca e permetteva alle merci di raggiungere la città di Porto a sua volta collegata alle principali rotte commerciali marittime europee.


I terrazzamenti (socalcos).
 

Lo strettissimo rapporto tra lavoro dell’uomo e il ricco territorio, dove sono presenti cento vitigni autoctoni sia bianchi che rossi, hanno contribuito alla nascita di uno dei vini fortificati più conosciuti nel mondo, o vinho do Porto. Si dice che la sua origine venga dalle spedizioni oltreoceano, quando le navi, per rallegrare l'equipaggio nelle lunghe traversate, conservavano il vino in barili posti in stiva dove l'alta temperatura era deleteria per la sua manutenzione.
Venne allora recuperata la tradizione già esistente tra i monaci dei conventi di aggiungere alcol etilico al liquame imbevibile per aumentarne la gradazione, e magicamente la cosa non solo funzionò, ma produsse anche una bevanda gradevole al consumo.
Per chi volesse approfondire le tecniche di produzione del vinho do Porto rimando a questo dettagliato articolo.

Impressioni di luce sul fiume Douro
Colori d'autunno

Tradizionalmente il Porto è frutto di un assemblaggio di uve provenienti da diversi vigneti, vinificate con tecniche differenti, e di diverse annate; ma recentemente si utilizza anche il metodo “Quinta unica”, ovvero con uve proveniente da una sola tenuta - See more at: http://gustodivino.it/home-gusto-vino/la-valle-del-douro-e-il-vino-di-porto/massimiliano-montes/1581/#sthash.SyfBeGoH.dpuf

Comunque la regione produce tanti altri vini buonissimi che meritano di essere conosciuti e amati. Fatevi sotto, dunque, se passate di qua.
Ma non è mica tutto vino, anche se noi siamo tendenti all'avvinazzamento facile.

Il Nord del Portogallo è una regione affascinante e "gotica", dove piove molto e spesso, dove il bianco e i colori del Sud lasciano il posto al grigio dello scisto, all'odore delle foglie bagnate dei boschi e dei ciottoli in strada, a venditori di castagne che si muovono su moto vintage.
Dove i paesini custodiscono gelosamente i loro tesori architettonici e gastronomici. Bisogna andarseli a cercare, e ogni volta la scoperta ripaga!

Tetti di Lamego
Pannello di azulejos a tema in una stazione di treni
La vista dalla camera della nostra piccola quinta
Percorsi rurali
Castagne vintage


Può anche capitare che il Primo Novembre passi per delle vie dove vedi grandi folle giungere da ogni lato e accalcarsi davanti ad una stamberga. Capisci subito che si tratta di una festa o un festino mangereccio e allora ti fermi perché vuoi saperne di piú.
E ti ritrovi catapultato in una dimensione parallela dove alle dieci di mattina in una stanza abili macellai preparano bistecche da quarti di maiale e nell'altra persino bimbi insospettabili consumano con avidità la loro costoletta appena arrostita. E chiedi spiegazioni, e ti dicono che si celebra così il Primo Novembre, con la mattanza del maiale e l'orgia alimentare collettiva.

Tutti in fila per la carne e la zuppa


E no, non ce la puoi fare a quell'ora.
Ma l'occhio ti cade sulle damigiane di vino.
Lo vendono sfuso ad un euro al litro. Non puoi resistere e te ne fai riempire felice una bottiglia precaria con tappo precario che si va ad aggiungere alla cassa che già è parcheggiata nel bagagliaio dell'auto.

E riparti un po' a malincuore, lasciandoti alle spalle nuvole di fumo di fuoco e facce rosse ebbre di vita, cuori semplici che festeggiano a modo loro il ciclo delle stagioni.




06/04/2013

La Sierra, stavolta davvero Nevada

C'ero già stata a Luglio, in un'altra vita. Mi sembra passato un secolo da allora, quella volta eravamo in due e ancora nessuno a parte noi tre lo sapeva. Non avrei mai immaginato di tornarci così presto, anzi, non era proprio nei miei piani. Poi le cose sono andate diversamente, ed eccomi di nuovo su queste vette, stavolta in piena stagione sciistica. 
Due ore per arrivare da Granada: pulmino fino ad un certo punto, poi teleferica e poi ancora gatto delle nevi.
Quattro giorni di clausura forzata a causa della bufera che non permetteva di mettere neanche il naso fuori, poi finalmente oggi esce il sole, anche se stanotte s'è tutto ghiacciato.
E allora ne approfitto per fare due passi e respirare un po' di aria buona.
Due passi con la neve alta non sono impresa da poco, quindi avanzo con grazia leggera nel manto bianco con gli scarponi rubati a mrT -non sono attrezzata con racchette- e cerco di scattare qualche foto tra un affondo e l'altro.
E' tutto così talmente bianco che neanche gli occhiali da sole da mezzo chilo che mi son portata appresso riescono a far granché, mi devo coprire la fronte con le mani.
Scatto un po' a caso cercando di intuire luce e colori perché dove l'occhio non arriva bisogna usare la fantasia.
Osservo gli sciatori disegnare linee morbide di panna, penso che se sapessi sciare anch'io quassù sarebbe il Paradiso. Ma mi accontento della vista ...e della fantasia.

Granada laggiù


Mentre cammino sento rumori sinistri, scorgo pezzi di ghiaccio che si staccano dalla cima del bestione.
Eh sì, perché quassù sono venuta ancora una volta solo per lui.
Penso che con questo vento sia meglio rientrare, mi si stanno ghiacciando i pensieri  e poi con tutto questo movimento di antenne temo che altro ghiaccio possa staccarsi e finire ben più vicino a me dell'ultima volta.



Poi è ora di catturare qualche segnale, ma non sono gli extraterrestri.
Vado nella stanza dei bottoni da dove si lanciano i comandi al bestione che risponde (quasi sempre).
Sei ore le passerò qua, con gli occhi prima a palla, poi sempre più in fase calante.
Solo una piccola pausa di qualche minuto per catturare il tramonto.




Una vita fa era estate.








01/07/2012

Lassù nella Sierra Nevada

Cinque giorni sulla vetta di Pico del Veleta, a più di 3.400 m nel Parco Nazionale della Sierra Nevada che sovrasta Granada. 
Il paesaggio è a tratti lunare, residui di neve sono incastonati nelle rocce alte e aspre tutt'intorno, mentre le ripide discese giustificano la stazione sciistica a valle.
La città giù bolle in un fuoco incessante; quassù l'aria è secca ed il cielo è limpido, il vento fortissimo a volte soffia a 120 Km/h, rendendo difficile la sosta all'aperto.
E me ne sto qui, nel mio esilio dorato, da dove il mondo e le sue stranezze appaiono lontani, e piccoli. Queste altezze liberano la mente da ogni pensiero indelicato.




Dopo la passeggiatina pomeridiana in assenza di vento (finalmente!), arriva la sera della finale di Euro 2012.
Che beffa: la guarderò in terra ostile, circondata da andalusi superconvinti che Casillas sia il portiere più forte eccetera eccetera. Ma non me la perderò, perché già ho perso quella contro l'Inghilterra in quanto ero in volo per Monaco, e quella con la Germania perché stavo arrivando a Granada e sono riuscita a vederne solo i venti minuti finali, spiando dentro un bar. Sarò davanti al mio pc in streaming con le mie brave cuffiette a sperare e tifare che il titolo non vada ai giallorossi. 
Sennò chi se li sorbisce altri tre giorni a questi?



06/05/2012

Immagini dall'Italia 2: la vita agreste

Alcuni giorni nell'antica Lucania, in un territorio contadino ed in parte ancora autentico, dove il quotidiano è fatto davvero di cose piccole e semplici, direi essenziali.
Qui solo un evento terribile ha potuto perturbarne l'essenza: il terremoto del 1980, che spazzò via interi luoghi, cancellò storie, vite,  e cambiò anche le persone, rappresentando proprio uno spartiacque nella storia di chi l'ha vissuto, ma anche di chi l'ha conosciuto solo dai racconti. Esiste infatti un paese "prima" e "dopo" il terremoto, e io mi son fatta l'idea che doveva essere tutto più bello prima. Penso sempre a come sarebbero oggi queste terre se non ci fosse stato lui, perché dove non è arrivata la natura, ci ha pensato l'uomo a saldare il conto.




Io ho solo vaghi e lontani ricordi di un'epoca pre-ricostruzione, in cui anche le case sventrate mi sembravano più vere e più vive, e poi avevano delle cose da raccontare, ormai destinate a perdersi per sempre, perché qui la memoria non è stata preservata, ma si è scelto di cancellarla, forse perché rendeva poco.
E questo faccio davvero fatica ad accettarlo.
Però... sono i luoghi in cui sono cresciuta, e  tutto porta il sapore di anni spensierati e bellissimi, nonostante mi siano sempre stati molto stretti certi modi di pensare e di agire -e questa dev'essere certo stata un' ulteriore ragione che mi ha spinto ad andare via. Anche se a diciotto anni uno non sempre lo sa.

Rincontro per caso nelle strade i volti di persone che conosco da sempre, che ci sono sempre stati, personaggi che popolano i ricordi d'infanzia e dell'adolescenza. Qui i vicini sono come una specie di famiglia allargata, di cui si conoscono vizi e virtù.  Uscendo di casa so che mi fermerò tante volte per salutare qualcuno, o al contrario so bene da dove non passare per evitare incontri poco graditi. 
Rivedere quei visi è per me come rivivere tutta la vita in maniera acceleratissima e condensata, e mi rendo conto che più passa il tempo e più quello che mi colpisce maggiormente sono proprio queste persone, queste figure testimoni di un passato che esiste e che sa chi sono io.
E poi ci sono i paesaggi: a valle, la pianura coi suoi campi coltivati, e poi le colline e le viti, ed infine i rassicuranti Alburni laggiù, cornici immobili ed imponenti che quando li vedo so subito che sono a casa.




Quindi la casa vera, di cui lascio alcune immagini: il ripostiglio-cantina, l'amore felino spesso maldestro ma così indispensabile, e i ravioli di ricotta in attesa di essere cucinati, capolavoro della mamma.




Quando devo ripartire è sempre dura lasciare questi luoghi, da cui una volta sono fuggita, da cui mi sento distante, a cui mi sento irrimediabilmente vicina.




12/12/2011

La stella di Hermes

Figlio di Zeus e della ninfa Maia, Hermes, messaggero degli dei -già protettore dei pastori- ha dato il nome alla catena montuosa più alta del Portogallo, conosciuta come Montes Herminios. Ma più comunemente come Serra da Estrela (montagna della stella). Il perché lo dicono le leggende.
C'era una volta un giovane pastore che viveva in un paesino di montagna solo col suo cagnolino. Il suo desiderio più grande era raggiungere le vette di un monte che poteva vedere solo da lontano, che erano il suo orizzonte fin da quando era nato. Una volta aveva sognato che una stella s'era offerta per guidarlo fino alle vette tanto desiderate; alché, svegliatosi, la cercò nel cielo, e la vide, la sua stella, ed era più la bella e la più brillante di tutte. Diventarono amici.
Una notte il pastore si decise a partire verso il suo sogno, lui, col suo cane, la speranza e la sua stella. Ad andare incontro alla fame, al freddo della morte, a spingersi su distanze che nessuno aveva mai osato.
E camminò a lungo, attraversando valli glaciali, fiumi, rocce, prati verdi in estate, gialli d'autunno, bianchi di neve in inverno... 




Perse sulla strada il suo cagnolino, la sua gioventù, la vita passò camminando, finché giunse sulla vetta più alta, la vetta dei suoi sogni, della vita, che era già vecchio, ma avendo placato la sete. Da lassù l'orizzonte era vasto e meraviglioso, ed il pastore si fermò lì, con la sua stella in cielo a fargli compagnia, sua unica amica. Da quella volta ogni notte c'è una stella che brilla più delle altre sopra i tetti della Serra da Estrela. 

Una stella che ha brillato per un po' anche sulla mia testa incredula.





Arrivando a Piódão la vista è mozzafiato: quella casette scure con le finestre e le porte blu e bianche si intagliano  sullo sfondo marrone rosso e giallo dei terrazzamenti delle montagne intorno. Mi sembra di stare in un quadro di Schiele, e non voglio più uscirne!  Tutto qui è fatto di xisto, una pietra laminata molto particolare che sui tetti pare proprio corteccia.



Belmonte è un paesino sperduto nel cuore della regione storica della Beira. Una luce gialla e abbagliante ci accoglie, e tra le viuzze medievali e alcuni gatti sonnacchiosi e vanitosissimi (guardavano  dritto nell'obiettivo della mia macchina) scopro che qui si rifugiarono nel '500 gli ebrei provenienti dalla penisola iberica che, dopo la Reconquista, non avevano accettato di convertirsi al cristianesimo nè di fuggire da quei luoghi. Scelsero pertanto una via alternativa: si stabilirono là nel completo anonimato, in quel paesino fuori dal mondo, isolato, mantenendo i loro riti e la loro religione ma senza avere nessun contatto con Israele (l'ebraismo di Belmonte è stato ufficializzato solo negli anni '70).



Il 1500 dev'essere stato un secolo speciale da quelle parti. Di questa terra era infatti originario Pedro Alvares Cabral, considerato lo scopritore del Brasile. E ancora una volta il Brasile s'insinua, persino tra i comignoli fumosi dei tetti di Belmonte e del suo Pelourinho (istituto medievale dove erano annunciate le direttive del comune). Pelourinho...il quartiere storico di Salvador de Bahia. 
Queste facciate coloratissime, così diverse dalle casine di pietra del quartiere ebraico, sotto la luce intensa di un pomeriggio di Dicembre mi riportano proprio a Salvador.




La gente di questi luoghi e' simpaticissima, alla mano, generosa come solo la gente di paese sa essere.
E poi..si rivolgevano a noi in italiano e non in spagnolo (cosa che accade comunemente a Lisbona). Ciao, buonanotte, arrivederci, come stai, sei italiano? e all'ennesimo "Buon appetito!" ho capito..in realta' ce lo ha raccontato un avventore del locale dove abbiamo cenato, il quale e' stato felicissimo di parlare un po' italiano dopo tanto tempo, quella lingua che aveva appreso dai suoi amici italiani durante i lunghi anni passati a lavorare in Lussemburgo. Storie di migranti che tornano. 

Tempo di tornare anche per me. Ma dalla finestra della mia stanza mi godo un'ultima volta il mio presepe.




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